Leggere mi piace molto ma, per qualche motivo, non mi capita spesso di innamorarmi di un autore fino ad arrivare al punto di incartarmici per mesi. Certo, spesso mi appassiono ad una saga letteraria e saltuariamente mi capita tra
le mani un romanzo da cui non riesco a staccare gli occhi finché non arrivo
alla fine, ma di rado mi fisso morbosamente su uno specifico scrittore.
Recentemente, però, ho preso una cotta per Stephen King.
Prima di quest’anno non avevo mai letto nulla del popolarissimo autore
statunitense originario del Maine (Stato in cui ambienta la stragrande maggioranza dei suoi libri).
Anch’io, come molte delle persone che lo conoscono solo per fama, commettevo
l’imperdonabile errore di considerare King un semplice “maestro dell’horror”,
quando invece è molto più di questo.
Per inciso, almeno a parer mio, King è uno dei più grandi
narratori del nostro tempo, uno scrittore che meriterebbe di venire ricordato
come un genio indiscusso.
Dite che esagero? Be’, forse sì, in fondo il mio può essere un giudizio dettato
dall’entusiasmo e un’opinione che vale poco o niente.
Però cosa ci posso fare se ogni libro del "Re" che ho avuto occasione di leggere
negli ultimi mesi mi è piaciuto incredibilmente, facendomi innamorare della letteratura come non mi capitava da tempo?
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Vaffanculo Jimla! |
Ho scoperto King grazie a
22/11/’63, uno dei suoi romanzi
più recenti.
È un libro meraviglioso.
Narra di Jake Epping, un comune professore di lettere che viaggia a
ritroso nel tempo per compiere una missione destinata a cambiare il corso della
storia: impedire la morte del
presidente Kennedy.
Ma combattere contro il flusso degli eventi non è sempre semplice, il passato
non vuole essere cambiato, possiede un istinto di autoconservazione, quasi una
volontà propria. E, come Doc Brown insegna, pasticciare troppo con il continuum
può essere pericoloso.
Ciò nonostante il nostro protagonista non si lascia scoraggiare e la sua
missione lo porta a conoscere un’epoca diversa da quella da cui proviene,
un’epoca bellissima ma allo stesso tempo piena di incongruenze e storture.
22/11/’63 è un grandissimo romanzo di fantascienza e un ancor
più grande libro di storia.
Il mio viaggio alla scoperta dell'universo kinghiano è poi
proseguito con
Notte buia, niente stelle, splendida raccolta di racconti che mi
ha aiutato a comprendere ancora meglio l’eccezionale bravura di King, uno
scrittore che si trova a proprio agio a raccontare qualsiasi cosa, anche gli
orrori più disturbanti che si nascondono negli anfratti dell’animo umano.
King sa descrivere il male di cui sono capaci le persone comuni, quelle che
magari incontriamo tutti i giorni, che ci sembrano insospettabili e di cui ci
fideremmo ciecamente.
Nei racconti di King un assassino non è mai “il cattivo e basta”, ma è una
persona reale, credibile. Una persona che magari è pure pazza da legare, ma
che, nella sua follia e nella sua paranoia, riesce comunque ad essere coerente.
A giugno, dopo essermi portato in pari con
Le Cronache del Ghiaccio e del
Fuoco, ho letto
The Dome.
È un romanzone massiccio, con un sacco di personaggi e sottotrame che si
intersecano.
The Dome parte dalla medesima premessa di, ehm, del film dei Simpson: Chester’s
Mill, una apparentemente pacifica cittadina del Maine, si ritrova sotto una
cupola trasparente di origini ignote. Isolata dal resto del mondo, la
popolazione di Chester’s Mill dovrà cercare di sopravvivere, affrontando tutti
i problemi che una situazione del genere può comportare e cercando di
capire cosa diavolo è questa cupola apparsa dal nulla.
La cosa più interessante di
The Dome è però il suo sottotesto politico. Cosa
accadrebbe se, in una città completamente isolata, un folle e ambizioso
consigliere comunale instaurasse una piccola dittatura, organizzando disordini
ad hoc per volgere la situazione a suo vantaggio, manipolando le informazioni
ed eliminando i suoi oppositori?
King ce lo spiega in questo libro, offrendoci una bella riflessione sulla
natura umana e sulla velocità con cui può degenerare una società civile in un
momento di crisi.
Per il mio compleanno, i miei mi hanno regalato
Joyland, il romanzo di King più
recente (è uscito lo scorso giugno).
Joyland è una splendida ghost-story ambientata in un parco divertimenti degli
anni Settanta. Ma è anche un giallo e, soprattutto, un ottimo romanzo di
formazione.
Un gioiellino, magari privo della potenza di altre opere Kinghiane, ma comunque
piacevole.
Breve ed intenso. Il finale, fra l’altro, è toccante come piace a me.
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"Le prugne glorificano!" |
Un mio amico mi ha poi prestato una copia di
On Writing: autobiografia di un
mestiere.
Come si può facilmente intuire leggendo il titolo,
On Writing è sia
un’autobiografia che un saggio sulla scrittura.
È un libro interessantissimo e illuminante per molteplici motivi.
Prima di tutto è una lettura imprescindibile se si vuole conoscere e
comprendere meglio la figura di Stephen King.
Nella prima parte, King racconta la sua vita partendo dall’infanzia fino ad
arrivare all’incidente in cui, nell’estate del 1999, ha quasi trovato la morte.
In questa sezione biografica l’autore parla dei giochi che faceva da bambino, della sua passione precoce per la
letteratura, dei suoi primi passi
come scrittore, dei suoi problemi con alcol e droga, del suo matrimonio e di molto altro ancora. Svela anche gustosi retroscena su
alcuni dei suoi romanzi più conosciuti; interessantissima, da questo punto di
vista, la genesi di
Carrie.
In
On Writing è Stephen King il protagonista assoluto.
Nella seconda parte del libro, invece, King parla dell’arte della scrittura e
spiega cosa significa scrivere, dando una lunga serie di consigli utilissimi a
chiunque abbia il desiderio di intraprendere il mestiere dello scrittore. Se
pensate che questa parte del libro sia noiosa, vi sbagliate, e di grosso!
King riesce ad appassionare e a divertire anche quando parla
di grammatica, scelta dei vocaboli e costruzione dei dialoghi.
On Writing è comunque un libro molto personale, nel senso che in esso King
affronta il tema dello scrivere basandosi sul suo approccio, sulla sua visione,
sul suo modus operandi. Spiega cosa significa narrare storie attenendosi a
quella che è la propria esperienza, spronando il lettore a seguire la sua
passione senza lasciarsi scoraggiare, migliorandosi e correggendosi dovunque
sia possibile.
Ho trovato la lettura di
On Writing utilissima. Un libro non può trasformarti
in uno scrittore dalla sera alla mattina, ci mancherebbe altro, ciononostante
quest’autobiografia mi ha aiutato a comprendere meglio il mio modo di scrivere
e mi ha dato un paio di dritte che spero possano tornarmi utili.
Grazie, Stephen.
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Non si può stare attenti su uno skateboard. |
Infine arriviamo a
IT.
So che molta gente lo considera, insieme all’
Ombra dello Scorpione, il grande
capolavoro di King. Il romanzo della vita, quello che entra nella storia e ci
rimane.
IT è anche molto di più.
È un libro memorabile, che miscela alla perfezione svariati generi letterari:
horror, fantasy, thriller, romanzo formativo.
In IT c’è tutto questo.
È la storia di alcuni bambini che stanno uscendo
dall’infanzia per fare il loro ingresso nella difficile età dell’adolescenza e,
da lì, avviarsi verso l’età adulta.
È poi la storia di questi bambini divenuti adulti, immemori della propria fanciullezza
e del tempo in cui la loro immaginazione aveva il potere di sfidare qualcosa di
incommensurabilmente più grande di loro; qualcosa di mostruoso, di abominevole,
qualcosa che teneva un’intera città imprigionata in una morsa di violenza e di
terrore.
Ma è soprattutto la storia di un gruppo di amici, di una banda di perdenti.
IT è un romanzo che parla di crescita, coraggio e amicizia.
Di come uno spaventoso nemico che ha la capacità di assumere la forma delle
nostre peggiori paure possa essere sfidato, affrontato e infine sconfitto.
IT è un romanzo che parla di persone normali, di ragazzi normali, di vite
normali.
Il leader del Club dei Perdenti è un bambinetto balbuziente. C’è poi il ragazzo
ipocondriaco che ha una madre iperprotettiva, c’è quello con problemi di peso,
c’è il ragazzo di colore che viene tormentato dai soliti bulletti razzisti, c’è
il perfettino, c’è il buffone con gli occhiali e c’è la ragazza che
subisce quotidianamente i soprusi di un padre violento.
Apparentemente si potrebbe pensare di avere a che fare con le classiche
macchiette stereotipate, ma di fatto non è assolutamente così. Ciascuno dei
Perdenti possiede una personalità complessa che vanta pagine su pagine di
approfondimento psicologico.
E non solo i Perdenti in realtà, dato che in questo libro persino alcuni dei
personaggi secondari meriterebbero di essere protagonisti indiscussi di un
romanzo a parte.
In IT la capacità di King di caratterizzare vite immaginarie, situazioni e luoghi è
espressa all’ennesima potenza.
È un romanzo dalle mille sfaccettature che non si vorrebbe finire mai e che ti
fa giungere alla conclusione con un groppo alla gola.
Vi basti sapere che, pur avendolo finito da più di una settimana, non sono
ancora riuscito a riporlo nella mia libreria e a lasciarlo lì a prender
polvere. Ogni tanto lo riprendo in mano e rileggo qualche passaggio che mi è
piaciuto particolarmente.
Nello specifico, credo di essermi riletto lo splendido epilogo ormai quattro o cinque volte.
In IT c’è tutto quello che mi fa amare King alla follia.
Che dire, sono veramente contento di aver scoperto questo autore così
eccezionale e sono ancora più contento se penso che devo ancora leggere la
maggior parte delle sue opere.
Giusto per non farmi mancare nulla, ho già recuperato Duma Key,
Stagioni diverse, Il miglio verde, Al crepuscolo, La bambina che amava Tom
Gordon e Shining, ma comunque voglio cercare anche L’Ombra dello Scorpione e un
po’ di altra roba.
Che poi una delle cose più deliziose dei romanzi di King è leggerli cogliendo
tutti i riferimenti, le citazioni e i collegamenti tra le varie opere. In tal
senso sarebbe più logico leggersi i libri in ordine di pubblicazione e non a
casaccio come sto facendo io.
Intanto, se posso darvi un consiglio evitando di fare spoiler, vi suggerisco di
leggere prima IT e, successivamente, 22/11/’63.
Fidatevi.