mercoledì 29 febbraio 2012

Asura's Wrath

Sulla carta Asura’s Wrath sarebbe un gioco da cui tenersi il più lontano possibile, visto che di fatto è l’antitesi di ciò che dovrebbe essere un buon titolo action.
Il nuovo lavoro Capcom è sostanzialmente una lunga sequenza di QTE intervallata sporadicamente da sezioni di combattimento raffazzonate che più raffazzonate non si può.
Il combat system di Asura’s Wrath è terribilmente grezzo e approssimativo, lontano anni luce da quello di un God of War a caso, figuriamoci da quello di un Bayonetta.
Gioco di merda, dunque?
No.

No perché Asura’s Wrath, nella somma delle sue disastrose parti, riesce ad essere un gioco fighissimo ed esaltante.
E’ in pratica uno shonen interattivo, un titolo giapponese nell’anima che riesce ricreare in un videogioco le esagerazioni viste in manga come Dragon Ball, miscelando mitologia asiatica e fantascienza.

In Asura’s Wrath ci sono Buddha robotici grossi come un pianeta che ti schiacciano con un dito, mostroni enormi che aprono in due un intero continente, gente che vola, che fa a botte nello spazio, che viene scaraventata da un cazzotto a chilometri di distanza e che distrugge un’intera flotta di astronavi a mani nude o sparando pallettoni di energia spirituale.

Per mettere in scena combattimenti tanto scenografici e maestosi si è deciso di fare abuso di quick time event. Non mancano, come ho detto, momenti in cui si è chiamati a menare le mani alla vecchia maniera o ad affrontare sezioni sparacchine su binari che ricordano vagamente Space Harrier (o REZ, se preferite), ma è innegabile che sostanzialmente Asura’s Wrath sia equiparabile a un anime interattivo in cui le parti giocate sono ridotte ai minimi termini.

Del resto, tanto per seguire una moda che ultimamente sta prendendo piede, il gioco stesso è diviso in episodi (Kanda) che ricalcano la struttura tipica delle puntate di una serie animata nipponica, con tanto di eycatch, “To be continued” finale e anteprima dell’episodio successivo.
Nulla di soprendente se teniamo conto che dello sviluppo di Asura’s Wrath se ne sono occupati i CyberConnect2, gli stessi che hanno realizzato i giochi di Naruto più recenti.
Giochi che, tra le altre cose, hanno svariati punti di contatto con Asura.
Ricordiamo infatti che anche in Ultimate Ninja Storm 2 i boss fight erano sostanzialmente combattimenti pieni di QTE che sacrificavano il gameplay in favore della spettacolarità.

Asura’s Wrath riprende esattamente la filosofia di quei boss fight e ci costruisce intorno un intero gioco.
Sicuramente il titolo Capcom non verrà ricordato come l’action più tecnico e memorabile di questa generazione, ma il risultato, nel suo complesso, è comunque più che soddisfacente.
Asura’s Wrath è spettacolare, tamarro, divertente e stilisticamente interessante.

Nota di merito poi per la stupenda colonna sonora, anch’essa sborona, esagerata e in grado di miscelare sonorità orientali a motivetti fischiettati simil western, passando addirittura per maestosi pezzi di musica classica come la sinfonia dal nuovo mondo di Antonin Dvorak!
Insomma, ogni tanto ci si può anche dimenticare del gameplay hardcore-cazzoduro e spararsi un gioco del genere senza farsi troppe menate.
Del resto oh, dopo una giornata di merda è sempre liberatorio spaccar montagne a suon di pugni.

sabato 25 febbraio 2012

Catherine

Ci si lamenta spesso del fatto che nel mercato videoludico attuale ci sia poco spazio per i giochi un po’ strani e per i titoli coraggiosi che tentano di proporre qualcosa di diverso.
E’ quindi sempre un piacere quando escono videogiochi singolari come Catherine!

Bizzarro incrocio tra un puzzle game, un simulatore di appuntamenti e un’avventura interattiva alla Heavy Rain, Catherine racconta la storia di Vincent, un trentaduenne pieno di paranoie che si trova in un punto cruciale della sua vita. La sua fidanzata Katherine crede infatti che sia giunto il momento di sposarsi, ma il nostro protagonista non è affatto convinto della cosa, dato che teme che il matrimonio possa mettere la parola fine alla sua libertà di scapolo.
Incredibilmente confuso riguardo al suo futuro, Vincent decide di passare una serata in compagnia dei suoi amici allo Stray Sheep, il locale dove va abitualmente a sbronzarsi.
Ed è proprio in questa circostanza che Vincent conosce Catherine, una giovane ventiduenne sexy e spensierata dalla quale è impossibile non essere attratti.
Il giorno dopo Vincent si sveglia nel suo letto senza alcun ricordo, con Catherine che dorme serenamente accanto a lui.
Comprende così di avere appena tradito Katherine e di essersi infilato in un casino con la "C" maiucola"!
La sua situazione sentimentale, già traballante, si complica ulteriormente e a peggiorare le cose ci pensano dei terrificanti incubi ricorrenti con cui Vincent deve fare i conti ogni notte.

Katherine, la ragazza di Vincent. Dietro all’aria da pornosegretaria innocente si nasconde un perfetto esempio di fidanzata rompicoglioni.

La premessa che sta alla base di Catherine è interessante e originale.
Prima di tutto perché presenta una storia matura e atipica per un videogioco. Quella di Vincent è una vicenda che affronta tematiche come tradimento, rapporti di coppia e paura di cambiare, una storia che, nel puro stile giapponese, riesce non solo ad essere adulta, ma persino piccante e maliziosetta senza mai scadere nella volgarità.
Catherine è un videogioco che tocca temi difficili senza banalizzarli, un’opera profonda che non ha nulla da invidiare ai migliori anime.
Il paragone con questi ultimi non è tirato in ballo a caso, visto che tutto il gioco è caratterizzato da un delizioso stile grafico in cel-shading che spesso lascia spazio a sequenze animate di incredibile fattura (curate dallo stesso studio che ha realizzato il bellissimo TekkonKinkreet).

Una dei sobrissimi artwork promozionali vede Catherine intenta a…

… mangiare una pizza.
Cosa credevate, zozzoni!

A chiudere il cerchio c’è persino una bella atmosfera da horror psicologico che fa capolino durante gli incubi di Vincent.
Ed è proprio durante questi sogni che trovano spazio le fasi puzzle che costituiscono l'ossatura portante del gameplay di Catherine.

Tali sezioni consistono nel dover scalare delle gigantesche costruzioni composte da cubi, evitando trappole e ostacoli che potrebbero farci cadere verso morte certa.
Dovremo spostare i blocchi che compongono queste torri affidandoci alla nostra materia grigia, cercando di costruirci una via di fuga verso l’alto prima che il tempo scada e tutto il livello crolli inesorabilmente sotto di noi.
La struttura di questi puzzle ricorda vagamente quella di Pullblox, con la differenza che i livelli di Catherine, invece di essere colorati e pastellosi come quelli del titolo Nintendo, riescono ad essere disturbanti e ansiogeni come poche altre cose.
In essi le paure di Vincent prendono spesso vita sotto l'aspetto di creature mostruose e grottesche che ci inseguiranno senza lasciarci un attimo di sosta, cercando di impedirci di arrivare all'uscita.

Uno degli incasinatissimi stage del gioco.

Queste fasi oniriche rappresentano una bella sfida anche per i giocatori piú scafati.
Una sfida così elevata che in effetti, se si vuole giocare a Catherine principalmente per godersi la sua storia, é consigliabile impostare fin da subito la modalitá facilissima. Cosa che, non mi vergogno ad ammettere, ho fatto anch'io dopo pochi livelli a easy.
Tra una torre da scalare e l’altra, Vincent si troverà poi in una sorta di limbo in cui potrà rilassarsi per un po’ e parlare con gli altri sognatori (tutti aventi le sembianze di pecora), incoraggiandoli a proseguire o scambiando consigli su come affrontare i puzzle più difficili.
Prima di ogni stage poi, una misteriosa entità ci porrà una domanda la cui risposta andrà a influenzare il nostro allineamento morale.

Completamente diverse sono invece le fasi di gioco che si svolgono nel mondo reale, all’interno dello Stray Sheep.
In esse Catherine abbandona la sua anima puzzle per divenire appunto più simile a un gioco di ruolo o a un simulatore di appuntamenti. Allo Stray Sheep potremo bere, chiacchierare con i nostri amici o le altre persone presenti al bar, giocare a un videogioco e mandare sms.
Qualsiasi cosa faremo o diremo avrà qualche effetto sulla trama, anche se a dirla tutta questo è l’unico frangente in cui ho trovato il gioco un po’ disonesto, visto che spesso ti viene fatto credere di avere più libertà decisionale di quella che in effetti hai.

Serata etilica.

In definitiva Catherine è un gioco particolare e strano, un’esperienza intrigante sia per chi ama le belle storie, sia per chi è alla ricerca di un puzzle game impegnativo.
Personalmente l’ho iniziato interessato maggiormente al lato narrativo che a quello ludico, ciononostante non ho potuto fare a meno di constatare la genialità delle sue fasi puzzle, che a livelli di difficoltà bassi risultano sì impegnative, ma nel complesso abbordabili da chiunque.
Discorso diverso se si gioca a normal o ad hard, immagino che in quel caso sia meglio prepararsi a tirare giù qualche imprecazione.
Catherine è dunque un titolo che andrebbe assolutamente giocato.
In parte per provare un gioco veramente diverso dal solito e in parte per godersi una storia interattiva degna dei migliori anime.

giovedì 23 febbraio 2012

Oi Vita, oi Vita mia!

E insomma, dopo Fatti una Vita non potevo non utilizzare come titolo di questo post l'altra tristissima e abusatissima freddura sulla nuova console Sony.

Comunque sia, come potete constatare dall'immagine in apertura, Vita è finalmente arrivata.
Alla fine ho preso solo Uncharted e Wipeout, ma temo che la smania consumistica che tende ad assalirmi al lancio di ogni nuova console mi spingerà a comprare un'altra caterva di titoli nei prossimi giorni.
A parte Marvel vs Capcom 3 mi interessano parecchio il solito Lumines ed Escape Plan.
Ma vi dirò che sarei mezzo tentato pure da Ninja Gaiden Sigma Plus.

In ogni caso le prime impressioni su Vita sono state assai soddisfacenti!
Un portatile bello solido e massiccio. Le dimensioni sono piuttosto considerevoli, ma sono compensate da un'ottima ergonomia e da uno schermo spettacolare.
Inoltre la console è incredibilmente leggera.
Buoni i tasti, a parte forse i dorsali, che mi pare facciano un po' schifo come quelli della PSP. Però va bè, nel complesso si lasciano utilizzare e non provocano crampi come quelli del 3DS.
Gli analogici sono un po' strani e mollicci, ma probabilmente bisogna semplicemente farci l'abitudine.
Mi sembra invece ottima la croce direzionale, il che è una gran cosa, soprattutto in ottica picchiaduro. Su PSP i beat'em up erano piuttosto ingiocabili ed era un gran peccato.

Tiratina di orecchie per i menu.
La scelta di abbandonare la funzionalissima XMB di PS3 e PSP probabilmente non è stata delle migliori, visto che per il momento i menu di Vita mi sembrano un po' macchinosi.
Però oh, magari anche qui è questione di prenderci la mano.

Sono rimasto anche un po' deluso dal fatto che Vita, almeno per il momento, non emuli i classici PSOne disponibili su PlayStation Store.
Peccato, era una cosa che davo per scontata.
Immagino comunque che sia una funzione che verrà abilitata più avanti, con qualche nuovo firmware.
Devo invece provare a scaricare qualche titolo PSP per vedere la resa sullo schermo di Vita. Anche se non so, di roba comprata in digital download mi sa che avevo solo Peace Walker e una qualche Capcom Collection.

Per quanto riguarda i giochi per il momento ho provato solo Wipeout, che è impressionante in tutto e per tutto.
Velocissimo, coloratissimo e con una bella colonna sonora (c'è Invaders Must Die dei Prodigy). Devo ancora giocarlo bene per poter dare un giudizio definitivo, ma nel complesso mi pare ai soliti eccellenti livelli degli ultimi episodi della serie.

Intanto ho in download le demo di Super Stardust Delta e Fifa, vediamo un po' come si comportano.
Sono particolarmente curioso per il primo, un twin stick shooter finalmente giocabile su una console portatile potrebbe essere la figata definitiva, soprattutto se è bello come il vecchio Stardust.

martedì 21 febbraio 2012

Fatti una Vita!

Domani esce PlayStation Vita.
Io chiaramente, da buon coglione spendaccione che fa girare da solo l’economia di una piccola nazione, ho già provveduto a prenotarla insieme ad Uncharted Golden Abyss e a una memory card bella capiente.
Versione wi-fi chiaramente, visto che quella 3G la trovo sostanzialmente inutile.

C’è una discreta eccitazione nell’aria, come sempre accade alla vigilia del lancio di una nuova console.
Fottesega del fatto che Vita stia vendendo poco in jappolandia, alla fine continuo a ritenerla una console portatile dal grosso potenziale e sono convinto che ingranerà in seguito.
Poi chiaro, nei mesi e negli anni che verranno bisognerà vedere come si evolverà lo scontro con il 3DS che, invece, a ingranare ha già iniziato.
A tal proposito mi sento in dovere di fare una bella pernacchia a tutti gli stronzi che lo scorso Maggio-Giugno mi sfanculavano perché ero uno dei pochi a credere nel portatile Nintendo .
Portatile che, secondo loro, era già da considerarsi un flop, una specie di nuovo Virtual Boy che avrebbe fatto la fine del Lynx, quindi EPIC FAIL, scaffaleh, trollface!
Del resto giudicare una console Nintendo quando non è ancora uscita una killer application che sia una è una roba intelligentissima.
Mentre invece, chi dice di aspettare l’uscita di qualche titolo degno di nota per vedere cosa succede è semplicemente un povero coglione.

Ma chiudiamo qui questa mia sbroccata personale e torniamo a parlare di Vita.
L’ho prenotata con Unchy, dicevo, ma sicuramente comprerò anche Wipeout 2048 e (probabilmente) Ultimate Marvel VS Capcom 3.
La line up di lancio di Vita è bella sostanziosa e non mancano titoli interessanti, ma questi tre sono i miei most wanted.
A dirla tutta, se c’è una cosa della nuova console Sony che mi convince poco, è che non vedo all’orizzonte il giocone da attendere in maniera spasmodica.
Tanta roba figa, ok, ma manca il titolone totale che, da solo, ti invoglia a comprare una console.
E questo, in un certo senso, smorza l’entusiamo e immagino che per molti sia un bel deterrente all’acquisto di un nuovo hardware, soprattutto per chi, magari, ha già una PS3 e se ne fa poco di una console portatile che non offra qualcosa di unico e originale.
Del resto il 3DS lo abbiamo comprato con l’acquolina in bocca per Mario 3D Land, Mario Kart 7 e compagnia bella, qui invece all’orizzonte si vedono tanti titoli ottimi, ma pochi in grado di scimmiarti in maniera insopportabile.

Poi per carità, in ogni caso di roba interessante ce n’è già da ora e il parco titoli di Vita, al lancio, è sicuramente meno desolante di quello proposto dalla console Nintendo lo scorso Marzo.
Al di là di Wipeout e Uncharted ci sono infatti altre robette interessanti.
Rayman Origins, per dirne uno, è un gioco della madonna. Io me lo sono sparato circa un mesetto fa su 360 e secondo me un titolo del genere rende tantissimo giocato su un handheld.
Hot Shots Golf è sempre figo.
Ci sarà inoltre il nuovo Super Stardust scaricabile dal PSN, che finalmente potrà essere gustato come si deve anche su portatile, grazie al doppio stick analogico.
A breve arriverà anche la Metal Gear Solid Collection (e qui sento già un coro di “mabbastah” manco fossi Celentano che parla di Famiglia Cristiana al festival di Sanremo), che comprerò per rigiocare a Snake Eater per la quarantesima volta.
Ci sarà Gravity Rush, che sembra una roba stilosissima. In Giappone è già uscito, mentre pare che da noi arriverà un po’ in ritardo (e solo in digital download a quanto pare).

Insomma, hype per domani dai, che quando esce una nuova console è sempre laffigata, soprattutto se è una roba tecnicamente ingrifante come Vita.
Spero solo di essere risparmiato da tutte le eventuali magagne da day-one/console primo modello assemblata coi piedi, visto che personalmente ho già dato con il 3DS lo scorso anno, grazie.
Sgrat, sgrat.

lunedì 20 febbraio 2012

Metal Gear Solid 3: Snake Eater

Ieri ho finito Metal Gear Solid 3: Snake Eater e mi sembrava giusto spendere due parole qui sul blog per celebrare quello che, a mio avviso, è uno dei più grandi capolavori videoludici di tutti i tempi.
Che il post dell’altro giorno a base di ricordi era bello e tutto, ma quando si parla di videogiochi totali-globali-spaziali forse è il caso di dire qualcosina in più.

Com’è Snake Eater giocato oggi, a sette anni dalla sua uscita?
E’ ancora bellissimo.
Forse è la grafica rispolverata in HD, forse sono i 60 fps, fatto sta che Metal Gear Solid 3 è un gioco che visivamente tira mazzate a destra e a manca a un sacco di titoli moderni.
Non credo di esagerare dicendo che, dal punto di vista grafico e stilistico, uno Snake Eater in HD buttato fuori nel 2006-2007 sarebbe stato in grado di far sfigurare una buona fetta di titoli di lancio usciti per le console di questa generazione.

Ma il punto non è solo la grafica.
Il punto è che nel 2005 Metal Gear Solid 3 mi aveva fatto lo stesso effetto che mi ha fatto Portal 2 l’anno scorso: l’avevo adorato più di quanto fosse lecito adorare un videogioco.
Il titolo di Kojima mi aveva divertito, mi aveva estasiato, mi aveva stupito e mi aveva commosso
Era un periodo della mia vita in cui, pur essendo ancora un videogiocatore appassionatissimo, pensavo che i videogiochi non sarebbero più riusciti a darmi ciò che mi avevano dato in passato.
Metal Gear Solid 3 era arrivato come un fulmine a ribaltare le mie convinzioni e a ricordarmi che i videogiochi erano una cosa bellissima.

Ricordo che lo finii almeno tre volte di fila, assaporando ogni volta le fasi stealth, i magnifici scontri con i boss, la quantità spropositata di easter eggs, la storia, i dialoghi e i personaggi.
Tutto (e sottolineo tutto) ciò che Metal Gear Solid 3 aveva da offrire mi sembrava la cosa migliore che avessi mai visto in un videogioco.

Avevo dunque paura di rigiocare Snake Eater dopo sette anni.
Temevo che il mio ricordo ne sarebbe uscito inevitabilmente ridimensionato e che quello che mi sarei trovato a giocare sarebbe stato un titolo invecchiato e pieno di magagne.
Fortunatamente non è stato così.
Intendiamoci, le magagne dovute al passare del tempo ci sono (e qualcuna dovuta pure alla mappatura dei tasti sul pad di XBOX 360), ma si tratta di robe assolutamente marginali di fronte alla maestosità di quella che è l’esperienza complessiva di Metal Gear Solid 3.
Poco importa il dover continuamente entrare e uscire dai menu quando la genesi di Big Boss è una delle storie più coinvolgenti mai raccontate da un videogioco!
E chissenefrega dei controlli un po’ macchinosi (ma addomesticabilissimi) quando tutto il gioco mantiene un ritmo pazzesco dall’inizio alla fine e alterna fasi stealth ancora oggi riuscitissime a boss fight assolutamente memorabili!

The Boss: probabilmente uno dei migliori personaggi femminili di sempre.

Mi trattengo dal fare spoiler, perché probabilmente questa collection (o anche l’imminente versione 3DS) rappresenterà per molti giocatori l’occasione di vivere questo capolavoro per la prima volta, ma potrei star qui delle ore ad elencare tutti i momenti indimenticabili di questo titolo.
Rigiocandolo mi sono reso conto di quanto Snake Eater fosse un continuo crescendo di emozioni fortissime, sia a livello di gameplay che di narrazione, culminanti in quello che è uno dei finali più belli ed epici di sempre.

E quando ci si ritrova in quel punto lì, costretti a premere quel tasto del pad che non vogliamo premere è… è… cazzo, ogni volta è qualcosa di indescrivibile.

domenica 19 febbraio 2012

Star Wars Episodio I: La minaccia fantasma 3D

Questa settimana sono andato a vedere Star Wars Episodio I in 3D!
Prendiamola larga e iniziamo parlando di ciò che rappresentava questo Star Wars all’epoca della sua uscita, vale a dire nel 1999.
La prima volta che sentii parlare di una seconda trilogia di Guerre Stellari correva l’anno 1993.
Ricordo che lessi su Game Power un trafiletto in cui si accennava al fatto che George Lucas avesse intenzione di girare altri tre Guerre Stellari che avrebbero fatto da prequel ai vecchi film e avrebbero narrato le vicende della Guerra dei Cloni (o dei Quoti che dir si voglia).
La notizia mi estasiò letteralmente, visto che ai tempi ero in fase di scimmia potente per i film della vecchia trilogia.
Sarebbero passati anni però prima di avere delle informazioni concrete su Star Wars Episodio I.
Era infatti la fine del 1998 quando, sfogliando una rivista mentre ero dal dentista (forse era Panorama o forse TV Sorrisi e Canzoni, non ricordo con esattezza), mi imbattei nelle prime immagini tratte dal trailer di Star Wars Episodio I: La Minaccia Fantasma!

Mioddio.
Era vero.
Esisteva.
Lo facevano sul serio.
Il film che avevo aspettato per quasi tutta la mia vita (avevo 13 anni, oh!) stava finalmente per uscire.
E c’era Obi Wan Kenobi da giovane, e c’erano i cavalieri Jedi, e c’era Darth Fener da bambino, e c’erano effetti speciali incredibili, e c’era un cattivo fighissimo con una spada laser a doppia lama ancora più figa!
Immaginatevi che effetto potessero avere poche immagini di Episodio I su un ragazzino di 13 anni fanatico della saga di Star Wars!
I mesi che mi separarono dall’uscita del film trascorsero lentamente, caricandomi di aspettative sempre più mastodontiche.
L’estate del ’99 la passai in scimmia totalissima, con addosso un hype insopportabile.
Una domenica del mese di Luglio scaricai pure il trailer dal sito di Star Wars e con la connessione che avevo allora ci misi una quantità di tempo spropositata. Tra l’altro era pure quello in lingua giapponese, perché quello in inglese veniva giù a velocità ancora più pachidermica.

Il trailer in questione era questo qua.
Me lo riguardai tipo sei milioni di volte e il bello è che le voci in jappo mi sembravano rendere tutto ancora più epico di quel che era.

Poi, nel mese di Settembre, Episodio I uscì anche in Italia!
Chiaramente lo adorai, del resto avevo anche 14 anni e insomma, essere oggettivo su Star Wars è una cosa che mi risulta difficile ancora adesso, figuriamoci a quell’età lì!
Dovette passare qualche annetto prima che riuscissi a dare un giudizio su Episodio I abbastanza critico e scevro di ogni tipo di fanboysmo.

Vediamo dunque di approfittare dell’uscita nei cinema di questa versione 3D per parlarne un po’, di questo Episodio I.
Iniziamo dicendo che La Minaccia Fantasma è chiaramente un film con dei problemi.
Intendiamoci, è comunque uno Star Wars godibilissimo ed un film fantasy di tutto rispetto (soprattutto se confrontato a certe porcate che escono di questi tempi), ma ha le sue belle cosette che non vanno.

Prima di tutto Jar Jar Binks.
Si è detto di tutto in proposito, ma vale sempre la pena girare il coltello nella piaga quando si parla di questo mentecatto.
Jar Jar è probabilmente uno dei personaggi più idioti, insulsi, insopportabili e inutili della storia del cinema.
E’ costantemente tra i coglioni, non fa ridere, si esibisce in gag terrificanti e parla come un deficiente.
Lucas lo ha inserito probabilmente per accattivarsi un pubblico di giovanissimi, ma non ha tenuto conto del fatto che tutta la gente sopra i sei anni lo avrebbe detestato a morte.
La roba più agghiacciante è che ho sempre avuto il sospetto che Lucas avesse intenzione di far coprire a Jar Jar un ruolo di primaria importanza in tutta la Nuova Trilogia, riservandogli anche in Episodio II e III la stessa quantità di spazio che aveva ne La Minaccia Fantasma. Poi chiaro, le orde di fan che volevano Jar Jar impalato vivo gli hanno fatto cambiare idea e così il gungan, a partire da Episodio II, è diventato un personaggio completamente secondario.
Grazie al cielo eh, però ormai con Episodio I la frittata era fatta.

Jar Jar Binks in The Force Unleashed.

Ma il problema di Episodio I non è solo Jar Jar.
Parliamo ad esempio dei dialoghi.
Nella Vecchia Trilogia avevamo dialoghi spesso brillanti, battute epocali che rimanevano in testa e personaggi eccezionali che spesso ravvivavano il tono delle conversazioni, facendole sembrare meno paccose di quanto fossero in realtà.
In questo film invece manca il brio, manca il personaggio alla Han Solo che ogni tanto ci butta dentro la cazzatina sarcastica, manca il ritmo.
I dialoghi sono spesso tremendamente soporiferi e raramente ci si esalta per le robe dette dai personaggi.
A peggiorare le cose ci pensa un adattamento in italiano spesso delirante.

“Sento che hanno una paura sproporzionata alla trivialità di questa vertenza commerciale. Con scappellamento a destra, come fosse Antani!”.
Conte Mascetti, nasconditi!

E poi i personaggi.
Qui-Gon è in pratica l’unico che si salva. E’ caratterizzato ottimamente e corrisponde perfettamente all’idea di maestro Jedi saggio e potentissimo.
Il resto però è da mani nei capelli.
La colpa non è degli attori, che sulla carta sono tutti bravissimi (Samuel Jackson, McGregor e la Portman non sono esattamente delle pippe), ma proprio del modo in cui sono delineati i personaggi che interpretano.
Per chi era abituato al vecchio Obi interpretato da Alec Guinness, il giovane Obi-Wan di Episodio I è un’enorme delusione. Ha lo spessore di una sottiletta e non dice o fa niente di rilevante fino agli ultimi dieci minuti di film.
Tra l’altro, se c’è una cosa in cui Lucas ha davvero pisciato fuori dal vaso, è nel tratteggiare il suo rapporto con Anakin. In Episodio I i due si parlano in tutto DUE VOLTE, dicendosi una frase a testa!
Ora, io capisco che il rapporto Anakin-Obi viene descritto negli episodi successivi, ma per rendere la faccenda più interessante Lucas poteva iniziare a buttar là due cosette anche qui!
Anche perché non è che si tratti proprio di una robetta marginale nell’economia della Nuova Trilogia, eh!

Infine la storia.
I vecchi film funzionavano anche perchè erano molto diretti.
C’erano i buoni (Alleanza Ribelle) e i cattivi (Inter Impero).
I primi vogliono salvare la Galassia dai secondi.
Stop, finita lì, poche pippe mentali.
In Episodio I abbiamo un groviglio incasinatissimo di intrighi, sotterfugi e manovre politiche che rendono tutto un gran bordello, destinato a diventare ancora più contorto in Episodio II.
Ora, io capisco che il titolo stesso del film (La Minaccia Fantasma) faccia capire molte cose e che tutto il casotto non è altro che un machiavellico piano di Palpatine per distruggere i Jedi e assoggettare la Repubblica, ma mi pare innegabile che Episodio I sia un film molto poco chiaro, soprattutto se si ignora ciò che accadrà poi (non solo nei vecchi film, che chiunque guardi i prequel dovrebbe aver già visto, ma anche in Episodio II e III).
Nella vecchia trilogia la politica c’era ma era sempre sullo sfondo, tutto era incentrato sulle vicende dei protagonisti. Qui invece la politica è sempre in primo piano.
Poi per carità, è fighissimo vedere il senato della Repubblica Galattica, il Consiglio Jedi e tutte quelle cose lì, ma davvero il baraccone non avrebbe potuto essere un po’ meno verboso?

Fino a qui potrebbe sembrare che La Minaccia Fantasma mi abbia fatto schifo in toto.
In realtà non è proprio così, perché Episodio I, pur essendo una pellicola costellata da diverse cagate, è anche un film in grado di esaltare l’appassionato di Star Wars.
C’è ad esempio l’incipit del film, con Qui Gon e Obi-Wan che fanno bordello sulla nave della federazione.
C’è il duello finale contro Darth Maul che è oggettivamente uno dei combattimenti migliori della saga, accompagnato tra l’altro dal bellissimo Duel of Fates, uno dei pezzi migliori composti da John Williams.
C’è la corsa degli sgusci, che a un sacco di gente sta sul cazzo, ma forse ‘sta gente si dimentica che nel 1999 era una roba da mascella slogata (ed è una delle poche scene per cui vale una pena dare un occhio a questa versione in 3D).
C’è la scena dell’addio di Anakin alla madre, che è bellissima.
C’è Yoda che percepisce già la paura di Anakin, roba importantissima e su cui di fatto si baserà la caduta del futuro Darth Fener.
C’è Qui-Gon, che come detto è un personaggio che spacca.
In fin della fiera si sta comunque parlando di Star Wars e, come dice Nab, Episodio I rimane pur sempre un tassello estremamente importante dell’esalogia, un tassello che apre la strada a tutto quello che verrà poi.
Spiace un po’ che le pecche di questo episodio abbiano finito per condizionare anche gli episodi successivi.
Anche se oh, secondo me La Vendetta dei Sith rimane proprio un bel film, perfettamente all’altezza di quella che era la Vecchia Trilogia.

E’ stato dunque un piacere rivedere Star Wars al cinema, nonostante tutto.
Il 3D non è stato così incisivo, sebbene un paio di scene avessero il loro perché, ma alla fine poco importa.
La roba brutta è che siamo entrati in sala a film già iniziato perché in biglietteria c’era una coda spaventosa (abbiam beccato la sera in cui trasmettevano in diretta la mostra di Leonardo, che culo).
E insomma, se chi mi legge è fan di Star Wars capirà che vedere un episodio della saga perdendosi l’opening crawl è un po’ come bombarsi Iga Wyrwal senza smanacciarle le poppe.

venerdì 17 febbraio 2012

Bulletstorm

Nel corso degli ultimi anni lo sparatutto in prima persona è diventato un genere assai inflazionato.
Trascinato dal fenomeno Call of Duty, l’FPS è salito in breve tempo alla ribalta, diventando la tipologia di gioco dominante su quasi tutte le piattaforme esistenti.
Personalmente ho sempre apprezzato questo genere sin dai tempi di Doom, ma non ne ho mai fatto una malattia.
Non sono uno di quelli che si fanno duecento ore nel multiplayer di Battlefield 3, per intenderci.
Quel che cerco in un buon FPS è un gameplay stimolante, tanta spettacolarità e, magari, qualche bella ideuzza che lo aiuti a distinguersi dalle centinaia di sparatutto bellici tutti uguali che affollano gli scaffali dei negozi.
E’ probabilmente per questo motivo che ho letteralmente AMATO un titolo come Bulletstorm.

Senza girarci troppo intorno vi dico che Bulletstorm è una delle cose più divertenti che io abbia mai giocato e, a mio avviso, il miglior gioco dello scorso anno insieme a Portal 2.
Per essere interessante ai miei occhi, dicevo prima, un FPS deve saper proporre qualcosa di originale. A prima vista Bulletstorm sembrerebbe il più classico degli sparatutto fantascientifici.
Chi lo osserva distrattamente potrebbe pensare che non ci sia nulla di nuovo all’orizzonte e che il titolo People Can Fly sia l’ennesimo gioco “carino ma nulla più” destinato ad essere sotterrato dal Crysis 2 o dall’Halo Reach di turno.
Nulla di più sbagliato, perché Bulletstorm è uno degli FPS più geniali e originali degli ultimi tempi.

Questa originalità deriva prima di tutto dalla suo particolare gameplay.
In Bulletstorm non basta uccidere i nemici, ma bisogna ucciderli in modo spettacolare e creativo, sfruttando l’ambiente circostante e combinando le abilità che abbiamo a disposizione.
Vi faccio un esempio della situazione tipo che ci si trova ad affrontare:
ipotizziamo di essere in una stanza piena di tizi che vogliono farci la pelle.
Prima di tutto ci avviciniamo velocemente al nemico meno distante e gli tiriamo un calcio, facendolo volare contro degli spuntoni che escono dalla parete.
Poi headshottiamo velocemente quell’altro tizio dietro di noi.
Successivamente usiamo il nostro cappio per agganciare il bastardo che si nasconde nell’angolino e strattonarlo nella nostra direzione. Quando ci è quasi arrivato addosso lo sbalziamo via con un calcio e lo finiamo con una rapido colpo di shotgun che lo apre letteralmente in due.
Restano due nemici nella stanza.
Entriamo in scivolata su quello più vicino e lo sbalziamo contro un pannello elettrificato facendolo morire folgorato all’istante!
Stiamo per scivolare anche verso l’altro nemico quando notiamo che di fianco a noi c’è un barile esplosivo. Calciamo il barile addosso al nostro avversario e lo vediamo esplodere in mille pezzi!
Crediamo che sia tutto finito fino a quando un altro gruppo di nemici irrompe nella stanza sfondando una parete!
A questo punto lanciamo il nostro cappio verso di loro e carichiamo il colpo speciale che li fa volare tutti per aria, mandandoli a spiaccicarsi simultaneamente contro il soffitto!
Ora la via e libera, possiamo proseguire.
Sballo.
E la situazione che ho descritto non è nemmeno delle più adrenaliniche.

Bulletstorm è tutto così.
Non c’è mai un punto morto, mai un attimo di stanca e raramente ci si trova a sparare normalmente per sbarazzarsi di chi ostacola il nostro cammino. Il titolo People Can Fly è un gioco che richiede costantemente di giocare con stile.
Sì, perché solo giocando cercando di variare le modalità di uccisione si ottengono abbastanza punti per comprare munizioni e colpi speciali.
Non si può e non ha senso giocare a Bulletstorm come fosse un FPS come tanti, anche perché è il level design stesso a incoraggiare un gameplay tutto frizzi e lazzi.
Tutti i livelli sono infatti disseminati di robe da usare a nostro vantaggio per uccidere con stile: si va dal classico barile esplosivo alla pianta carnivora che ingoia tutto quello che le passa davanti, passando per la ventola che sembra fatta apposta per sbudellare il mutante di turno.
Bulletstorm è un FPS con un’anima arcade e lo si capisce al volo vedendo gli indicatori di punteggio che compaiono ogni volta che si effettua un’uccisione. Ed è bellissimo quando riusciamo a far fuori più nemici contemporaneamente e vediamo lo schermo affollarsi di scritte lampeggianti, mentre il nostro punteggio schizza in avanti di qualche migliaio di punti!
Per farvi capire meglio di che razza di pasta è fatto questo titolo vi dico solo che in Bulletstorm persino i collectibles possono essere sfruttati per dare vita a uccisioni ancora più scenografiche e remunerative!

Un gioco dal gameplay così soddisfacente ed entusiasmante è cosa rara.
Il bello è che Bulletstorm non convince solo per il comparto ludico, ma anche grazie a tutto il contorno.
I dialoghi (doppiati in italiano splendidamente tra l’altro) sono veramente tra i migliori che mi sia capitato di sentire in un videogioco: spassosissimi, sempre sbroccati e pieni di battute epiche.
Stesso discorso per i personaggi. Pochi, ma tutti caratterizzati splendidamente. Inizialmente si può aver l’impressione di avere a che fare con dei semplici cloni dei COG di Gears of War, ma ben presto si scopre che Grayson, Ishi e Trishka hanno una personalità tutta loro e sono probabilmente i più carismatici protagonisti visti in un FPS caciarone dai tempi di Duke Nukem (questa è grossa ma fidatevi che sono convintissimo di quello che dico).

Bulletstorm mantiene per tutta la sua durata uno stile sbracato e splendidamente casinaro, anche quando occasionalmente la sua storia vira su parti un po’ tragiche.
E’ un gioco violento, ma di una violenza che non risulta mai fastidiosa e di pessimo gusto.
E’ un titolo che ha il coraggio di non prendersi mai sul serio e che riesce a stordire il giocatore con tantissimo divertimento dall’inizio alla fine, offrendo una campagna non lunghissima ma eccezionale in tutto e per tutto.
Ciliegina sulla torta: il gioco è anche bellissimo da vedere, visto che è coloratissimo e spesso e volentieri offre dei panorami a dir poco maestosi.

Speriamo in un seguito il più presto possibile.

giovedì 16 febbraio 2012

Metal Gear Solid HD Collection

Vi avviso che questa è una recensione un po’ "atipica".

La settimana scorsa hai preso la Metal Gear Solid HD Collection, ti sei rigiocato Metal Gear Solid 2 e stai rigiocando a Metal Gear Solid 3.
Chi ti conosce saprà che sei un romanticone a cui piace abbandonarsi alla nostalgia e ai ricordi rievocati da titoli giocati, sette, otto, dieci anni fa.
Che Ico è bello e tutto, ma ai tempi non l’avevi comprato e quindi l’effetto “quando c’era lui” va un po’ a perdersi.
Capita invece che rigiocando a Metal Gear Solid 2 ti vengano in mente un sacco di fatti avvenuti a cavallo tra il Febbraio 2002 e il Giugno 2002, periodo della tua vita che inconsciamente ti viene da associare all’uscita del secondo capitolo della saga Kojimiana.
E’ il bello dei videogiochi attempati del resto. Come un libro, un film o una fotografia sanno essere una finestra sul nostro passato.

Ed è quindi così che gli interminabili dialoghi via codec, la metareferenzialità, la scassatura di palle della telecamera fissa e i controlli ormai legnosi di Metal Gear Solid 2 passano completamente in secondo piano, sostituiti dalle miriadi di cose che vengono in mente giocando.
Di quando, ad esempio, subito dopo aver sconfitto Olga sul tanker, ti era arrivata quella telefonata inaspettata da parte di una certa ragazza e tu avevi spento la console in fretta e furia ed eri stato lì a parlare con lei per un’ora e poi per tutto il resto della giornata eri stato contentissimo.
Ti ricordi anche di quella volta che tu e altri due tuoi compagni vi eravate appostati nel parcheggio della scuola per parlare a quattr’occhi con un vostro amico che si era comportato un po’ da stronzo e questo era scappato a razzo in bicicletta pensando che voleste menarlo. E ti vien da ridere a pensare che probabilmente anche chi all’epoca non c’era (ad esempio Rikky) capirà al volo chi era questo tuo amico, perché passano gli anni ma certe robe non cambiano.

(Di introduzioni così non ne fanno più)

Ti viene in mente dell’epico torneo di basket a cui avevi partecipato con una squadra scassatissima in cui eravate tutti delle pippe allucinanti a parte Febbra. Poi bellissimo il fatto che avevate passato settimane a cercare un nome decente per 'sta squadra, ma alla fine non avevate trovato un cazzo, così avevate chiesto ad Ambrogio di inventarsi un nome per voi. Lui aveva scelto Red Lions (scritto "Read Liones"...).
Comunque sia alla fine avevate perso tutte le partite in maniera ignobile, l’unica che avevate giocato più o meno alla pari era quella contro una squadra composta da Pit, Patrick e Diego, o almeno ti pare che il terzo fosse Diego (all’epoca non conoscevi ancora nessuno dei tre, pensate i casi).
Avreste potuto vincere se Pit non fosse stato alto tre metri già a quindici anni.

E poi ci sono un sacco di altre cose che ricordi con piacere.
Di quando ad esempio Frigerio vi aveva chiesto di provare a buttar giù un articolo di giornale a tema libero e tu avevi avuto le palle di scrivere un articolo che parlava proprio di videogiochi. Che fare una cosa simile in un polverosissimo liceo classico, in prima liceo, equivaleva un po’ a prendere un foglio protocollo e consegnarlo in bianco.
E invece tu avevi raccolto la sfida e avevi scritto una roba che a rileggere ora ti verrebbe da metterti le mani nei capelli, ma caspita che soddisfazione, anche perché era la prima volta in assoluto che ci provavi, a scrivere di videogiochi.
E alla fine avevi preso anche 8.

E potresti andare avanti per ore a elencare fatti avvenuti in quel periodo, ma forse è meglio che ti fermi qui, che altrimenti ti commuovi e finisci a rimpiangere i tempi del liceo, che se all’epoca ti avessero detto che avresti rimpianto quegli anni lì ti saresti sparato in bocca tipo subito.
E poi, a pensarci bene, forse certe robe non è neanche il caso di scriverle in questa sede (e qui concedetemi un LOL).

Questo è Metal Gear Solid 2.
Per il 3 è più o meno lo stesso discorso, cambia solo che è un gioco un po’ più recente e quindi c’è forse meno nostalgia.
Però che sballo quando eri andato a comprarlo sfidando una nevicata apocalittica (nel 2005 aveva nevicato all’inizio di Marzo, oh).
E che roba emozionante quel finale lì, ancora ti vengono i brividi, dopo sette anni rimane pazzesco a livello emozionale, anche se secondo un sondaggio del Guinness World Records il miglior finale di tutti i tempi è quello di Call of Duty: Black Ops (e qui invece ci sta un bel ROTFL).

(SPOILER: questo è il best ending ever, non me ne vogliano Portal 2 e Red Dead Redemption)

E poi basta, non hai veramente altro da dire.
Forse avresti dovuto parlare della qualità di questa collection, dei 60 fps di Metal Gear Solid 3 * e dei controlli su XBOX 360 adattati un po’ alla cazzo di cane perché i tasti non hanno i 256 livelli di pressione come il Dual Shock 2.
Magari avresti dovuto dire qualcosina anche su Peace Walker, ecco.
Ma alla fine chissenefrega di queste minchiate.

* E comunque oh, 'sta collection merita di essere comprata anche solo per questo. Che goduria, mamma mia.

martedì 7 febbraio 2012

Mission: Impossible - Ghost Protocol

Aspettative pienamente soddisfatte.
Il nuovo Mission: Impossible è un vero e proprio ottovolante, un action movie dal ritmo semplicemente pazzesco, girato splendidamente, pieno di scene spettacolari e con un mucchio di gadget assurdi (che però, ogni tanto, fanno cilecca).
La scalata del grattacielo di Dubai è probabilmente una delle robe più esaltanti che mi sia capitato di vedere al cinema di recente e vale quasi da sola il prezzo del biglietto.

Tutto bello insomma.
Difficile dire se questo Mission: Impossible sia il migliore della serie o meno, anche perché tra le altre cose è passato un decennio buono dall’ultima volta che ho visto i primi due film e di conseguenza me li ricordo veramente pochissimo.
Quel che è certo è che stiamo parlando di una delle migliori pellicole action degli ultimi anni, probabilmente la migliore in assoluto se robe zarre come Fast 5 o A-Team non sono troppo nelle nostre corde.
Anche se oddio, l’incipit di Mission: Impossible III (che ho rivisto giusto ieri sera) a mio avviso non si batte in alcun modo, non c’è proprio un cazzo da fare, è una roba bellissima e in puro stile Abrams.

Bizzarro che sia proprio il rewatch del terzo episodio della serie a mettere in risalto l’unico grosso difetto di Ghost Protocol, vale a dire la mancanza di un “cattivo” carismatico.
In Mission: Impossible III Davian, interpretato da un grandioso Philip Seymour Hoffman, era un villain coi contromaroni, uno stronzo bastardissimo e implacabile che impiantava cariche esplosive nelle teste di chiunque osasse ostacolarlo e che riusciva a far paura anche quando si trovava apparentemente con le spalle al muro (“Come ti chiami?”).
In Ghost Protocol abbiamo invece un antagonista abbastanza insipido, che proprio non ce la fa a bucare lo schermo.
Ed è un peccato, perché per il resto tutto il cast funziona alla grande.
Tom Cruise è come al solito perfetto nei panni di Ethan Hunt. E qui mi sento di spezzare una lancia a favore del nostro nanetto, che sarà anche un pazzo che crede negli alieni, ma nei film in cui è in parte rulla sempre tantissimo. Inoltre in coppia con Renner secondo me funziona daddio.
Paula Patton ottima nel ruolo della gnocca di turno, anche se un mio amico juventino dice che sembra la versione femminile di The Rock (don’t ask).
Simon Pegg è la spalla comica e… Va bè, è lo Shaun di Shaun of the Dead, che altro vi devo dire?
Dulcis in fundo: c’è pure Sawyer di Lost che fa una comparsata.

Film divertentissimo dunque, il mio 2012 cinematografico non poteva iniziare meglio di così.
Da un bel blockbusterone spensierato è francamente difficile chiedere di meglio. Se ci fosse stato un antagonista ai livelli di Davian probabilmente starei parlando di Best Mission: Impossible Evah senza se e senza ma.
Comunque sia, nonostante questo, approvato in pieno.

giovedì 2 febbraio 2012

Resident Evil Revelations

Se la memoria non mi inganna, non c’è mai stato un Resident Evil portatile degno di questo nome.
Verso la fine degli anni 90 c’era in ballo una conversione del primo Resident Evil per Game Boy Color, ma il progetto era fin troppo ambizioso, quindi Capcom lo cancellò e ripiegò su Resident Evil Gaiden, titolo che non mi pare sia passato alla storia esattamente come un gran capolavoro.
Revelations è quindi il primo vero Resident Evil da passeggio che non ha nulla da invidiare ai fratelli maggiori usciti su console casalinghe.

Nella sua atmosfera orrorifica questo Resident Evil ricorda una via di mezzo tra Resident Evil 4-5 e i primissimi capitoli della serie.
Non bisogna aspettarsi un titolo in grado di rivaleggiare con il primo e il secondo episodio, ma la nave da crociera infestata da orrende mutazioni genetiche è una location che funziona splendidamente bene.
Funzionano un po’ meno le altre ambientazioni proposte, ma non è un grosso problema considerando che la maggior parte del gioco si svolge proprio sulla nave.

Dal punto di vista del gameplay il titolo Capcom assomiglia ovviamente agli ultimi due Resident Evil usciti, quindi stiamo parlando di un gioco d'azione in terza persona in cui si passa parecchio tempo a sparare. C'è da dire che qui le munizioni vengono distribuite con maggiore parsimonia e questo contribuisce ad aumentare quella sensazione di "sopravvivenza precaria" che si era andata un po' perdendo nel quarto e nel quinto capitolo della serie.
E’ stato poi introdotto un nuovo oggetto, una specie di scanner che consente di analizzare nemici e ambienti circostanti per trovare item nascosti.
Il livello di difficoltà è ben bilanciato e sorprendentemente (anche a normal) offre un buon livello di sfida. Se non si sta attenti si può arrivare a morire parecchio, soprattutto durante i boss fight e nelle sezioni in cui i nemici ci attaccano a ondate.
I controlli funzionano abbastanza bene. Ho giocato con il circle pad pro che, pur essendo un accrocchio brutto come la morte, migliora sensibilmente i comandi del gioco, ma ho provato la demo utilizzando il 3DS liscio e anche così mi pareva di trovarmi abbastanza bene.

Certo, come sempre i controlli di Resident Evil sono un po’ legnosi, proprio in Capcom non ce la fanno a sfornare un survival horror che si controlli in maniera fluida tipo Dead Space, ma Revelations si lascia giocare senza problemi anche durante le situazioni più concitate.
Ci sono anche nuove idee abbastanza carine, come la possibilità di sparare mentre si è a terra e le sezioni subacquee.
Non mancano poi i puzzle da risolvere tramite il touch screen, anche se si tratta quasi sempre di enigmi semplicissimi e francamente trascurabili.

Un Resident Evil convincente dunque, che colpisce anche dal punto di vista grafico.
Il 3DS viene sfruttato a dovere e Revelations è sempre un bello spettacolo visivo. Il 3D non è esattamente incisivo come in Mario 3D Land o Mario Kart 7, ma garantisce comunque una buona dose di profondità e di immersione.
Giocare a Resident Evil Revelations al buio, con un paio di cuffie e il 3D attivato è sicuramente una bella esperienza.

Resta il fatto che stiamo parlando di una tipologia di gioco che non si adatta un granchè bene alla fruizione portatile, anche se bisogna dare merito a Capcom di averci provato in tutti i modi a spezzettare e alleggerire l’azione di gioco.
Prima di tutto con l’introduzione dei checkpoint e poi con la suddivisione del gioco in episodi, con tanto di riassunto della puntata precedente all’inizio di ciascuno di essi (ciao Alan Wake).
C’è poi il problema della storia, che è un’accozzaglia di eventi abbastanza deliranti. Anche qui però ci sono delle novità gradevoli, per esempio vengono introdotti due comprimari che per una volta non sembrano fotomodelli e riescono addirittura a fare un paio di battute divertenti!
E poi seriamente, esiste ancora gente che si aspetta qualcosa dalla storia di Resident Evil? Personalmente a me basta che diano una bella ambientazione da film horror e un pretesto per sparare a zombi/aberrazione di vario genere, poi mi accontento anche di una trama da B-Movie.

Revelations è dunque un validissimo Resident Evil che non scende a compromessi.
E’ un gioco di indubbia di qualità che, tra le altre cose, propone un’offerta ludica che si distanzia in maniera abbastanza marcata da quella che fino ad ora è stata proposta dalla ludoteca del 3DS (ludoteca che comunque inizia a farsi interessante).
E insomma, storia insegna che più varietà c’è su una console, meglio è.
Quel che è certo è che, dopo Resident Evil Rebirth e Resident Evil 4, abbiamo un’ulteriore conferma che i Resident Evil che escono sulle console Nintendo rullano tantissimo.
Anche se oddio, in effetti non è che lo Zero fosse ‘sta gran roba da quel che ricordo.

Noticina a margine: solo io vedo probabilissima una conversione pompata di Revelations per PSVita?
Anche perché, altra curiosità, questo Resident Evil in origine doveva uscire su PSP. Ricordate quel Resident Evil Portable annunciato all’E3 2008 che poi è sparito nel nulla? Era palesemente questo, dai.

Visto che ci siamo, fatemi dire due cose anche a proposito del trailer di Resident Evil 6 uscito pochi giorni fa.
A me è piaciuto parecchio.
Trovo un po’ stupido lamentarsi delle presunte contaminazioni da Vanquish e da Gears of War.
Prima di tutto perché ben vengano se aiutano a svecchiare il gameplay e a renderlo meno ingessato. In secondo luogo perché su, anche il primo Resident Evil, nel lontano 1996, era palesemente ispirato ad Alone in the Dark. E nessuno si lamentava troppo.
Capisco che molti disprezzino dal profondo la svolta action della serie e avrebbero gradito un ritorno alle origini (o alle atmosfere del primissimo trailer di Resident Evil 4), pure io un po’ ci speravo, ma francamente non è che ci credessi un granchè.
La cosa che traspare abbastanza chiaramente da questo trailer è che Resident Evil 6 tenterà di far contenti tutti, proponendo alcune sezioni più horror e altre più action.
Se quel che ne verrà fuori sarà un titolo spettacolare e bello da giocare bè, a me andrà benissimo.
Per la storia vabbè, come dicevo prima ormai ho perso definitivamente le speranze di vedere qualcosa che abbia senso, quindi pace.
Però devo dire che la parte con Leon (che sembra Sawyer di Lost pettinato come Sanji di One Piece) mi gasa veramente tantissimo.