venerdì 27 aprile 2012

Rayman Legends in versione Wii U!

In Ubisoft si sono lasciati sfuggire il trailer della versione Wii U di Rayman Legends, il seguito di Rayman Origins di cui erano trapelate le prime immagini pochi giorni fa.
Probabilmente il video in questione non avrebbe dovuto palesarsi prima dell'E3, ma ormai la frittata è stata fatta.
In attesa che il Giappone dichiari guerra alla Francia a causa di questo allucinante leak, iniziamo a gustarci le prime informazioni su questa nuova avventura dell'uomo melanzana.
Beh, come saprete Origins mi era piaciuto un bordello, tanto è vero che giusto ieri stavo addirittura per ricomprarlo su PlayStation Vita, salvo poi cambiare idea e decidere di scaricarmi dal PSN Ninja Gaiden Sigma Plus (in questo periodo sono in fissa con gli action game nipponici, abbiate pazienza).
Questo Rayman Legends mi sembra ancora più bello del suo predecessore e il trailer della versione Wii U lascia intuire svariate novità interessanti:

  • Splendido il nuovo stile grafico, più acquerelloso e ispirato rispetto a quello di Origins.
  • Gradita l'introduzione del multiplayer online (nel prequel si poteva giocare in multi solo sulla stessa console) e ottime le funzionalità social che, da quanto ho capito, permetteranno di sfidare diversi ghost contemporaneamente.
  • Legends sembrerebbe sfruttare parecchio le caratteristiche di Wii U. Ad esempio ci saranno livelli (presumibilmente esclusivi di questa versione e, magari, di quella Playstation Vita) che richiederanno di smanacciare sul touch screen.
  • Simpatico anche il discorso degli oggetti da appoggiare sul pad-tablet Wii U per ottenere bonus o personaggi segreti, una roba che ricorda parecchio quanto visto in Spyro Skylanders.
    Intendiamoci, da queste parti siamo più interessati ad altre cose più importanti (level design, bilanciamento della difficoltà, ritmo di gioco, controlli tight e via dicendo) e queste feature accessorie ci lasciano abbastanza indifferenti, ma tant'è, sono pur sempre una cosetta in più.

Insomma, il primo vero gioco mostrato per la nuova console Nintendo pare discretamente ingrifante.
Di sicuro sembra meglio di Red Steel, lo sparatutto di cui Ubisoft (sempre lei, oh!) rivelò l'esistenza poco prima che la line-up di lancio del vecchio Wii venisse presentata ufficialmente durante l'E3 del 2006.

Comunque sia, manca giusto un mese alla settimana più hypante dell'anno, dai che quest'anno ne vedremo delle belle!

giovedì 26 aprile 2012

The Avengers

Ci sono voluti un po' di anni, ma alla fine ci siamo arrivati: abbiamo il film dei Vendicatori!

Sembra ieri che andavo a vedere il primo Iron Man e sentivo parlare di questa idea fighissima di creare una sorta di continuity cinematografica per gli eroi Marvel, in modo da riunirli in un mega crossover una volta che fossero usciti tutti i film incentrati sui singoli personaggi.
E ricordo ancora il "woahcazzofigata" che esclamai quando Robert Downey Jr comparve per qualche secondo nel film di Hulk uscito nel 2008.
E poi bè, il resto è storia.
Nelle pellicole successive i riferimenti e i collegamenti tra le varie storyline sono aumentati in maniera esponenziale, al punto che Thor e Captain America riuscivano a stento a non sembrare effettivamente tasselli minori di qualcosa di più grosso.
Ebbene, QUEL qualcosa di più grosso è finalmente arrivato.

Non perdiamoci in chiacchiere e diciamolo subito: The Avengers è esattamente LA FIGATA che sembrava essere nei trailer!
E' un film che dà letteralmente le piste alle pellicole dedicate a ciascuno dei Vendicatori. Pellicole che, per quanto valide, non erano veramente altro che dei filmetti apripista, degli spettacolari trampolini di lancio necessari per presentare tutti gli eroi e averli già pronti e carichi una volta che fosse venuto il momento di realizzare il film corale.
Forse solo i due Iron Man fanno un po' eccezione, ma anche loro devono chinare la testa di fronte al cine-fumettone firmato Joss Whedon.

Qui si sta infatti parlando del baraccone sui supereroi definitivo, il film che avrei voluto vedere quando avevo dodici anni.
The Avengers va a unirsi a The Dark Knight e a X-Men First Class in quella che è la triade dei migliori film supereroistici di sempre.
Tre film, tre modi diversi di dipingere i supereroi.
Il film di Nolan era praticamente un thriller in cui Batman veniva infilato a forza, mentre quello di Vaughn spiccava su tutte le altre produzioni grazie a due personaggi straordinari e a una sceneggiatura ottima.
The Avengers è invece l'apoteosi della spettacolarità e dell'azione sopra le righe.

Non voglio anticiparvi nulla di quanto si vede nel film (probabilmente ci hanno già pensato i ventordici trailer finora mostrati), ma oh, sullo schermo ci sono Iron Man, Cap, Thor e Hulk contemporaneamente, ciò basta per immaginarsi il casotto e la quantità di pizze in faccia.
Ma la cosa migliore è che The Avengers non si limita a mettere in scena gente fortissima che spacca tutto e si ammazza di legnate.
The Avengers funziona anche perchè è scritto bene, perchè presenta dialoghi brillanti e divertenti.
Ci sono un sacco di battute che strappano grasse risate e svariate gag assolutamente totali e deliziosamente fumettose.
Joss Whedon ha confezionato un film epico e maestoso, ma allo stesso tempo capace di non prendersi mai con troppa serietà.

E' stato fatto un lavoro sensazionale anche per quanto riguarda i personaggi.
Gestirne così tanti in un unico film era un'impresa difficilissima, di fatto eravamo già pronti a vedere il Tony Stark di Robert Downey Jr che rubava la scena a tutti quanti.
E invece no, in The Avengers non accade nulla del genere. Tutti i personaggi, anche quelli secondari, hanno il loro giusto spazio. Nessuno prevale sugli altri.
A proposito di ciò, segnalo che il Bruce Banner di Mark Ruffalo, a dispetto delle basse aspettative, è forse la sorpresa più bella del film.
Il suo Hulk "spacca" in tutti i sensi e, fra le altre cose, è anche protagonista di un paio di scene assolutamente EPOCALI.
Magistrale, comunque, anche il lavoro di caratterizzazione svolto su Vedova Nera e Occhio di Falco.
E Chris Evans, fortunatamente, riesce ad essere uno Steve Rogers di maggior spessore qui che in Captain America.

In definitiva, anche se le aspettative erano decisamente alle stelle, The Avengers è riuscito a non deludermi.
E' anzi un film che mi ha convinto su tutti i fronti e che mi ha fatto uscire dal cinema gasato come un matto.
Il compito affidato a Joss Whedon non era dei più facili, The Avengers era una pellicola complessa da portare al cinema in maniera convincente e il rischio di sfornare una puttanata era altissimo.
Ma, grazie al cielo, Whedon ha gestito il baraccone con mano ferma ed ha creato qualcosa di esaltante, in grado tra l'altro di essere fedele allo spirito dei fumetti Marvel.
Gli appassionati di comics possono esserne soddisfatti.

Postilla: rimanete in sala fino alla fine dei titoli di coda e, se conoscete l'universo Marvel, preparatevi a un nerdgasm di quelli potenti.

lunedì 23 aprile 2012

Fez

E' proprio vero che i migliori si fanno sempre attendere parecchio.
Fez è finalmente arrivato sui lidi di XBOX Live Arcade dopo cinque lunghissimi anni di sviluppo.
La cosa interessante è che il titolo Polytron non si è limitato a riscuotere un buon successo di pubblico e di critica, ma ha letteralmente sconquassato la comunità videogiocante.
Procediamo con ordine e vediamo perchè.

Ideato da quell'amabilissima persona che è Phil Fish, Fez è un platform/puzzle game indie dal look deliziosamente retrò.
Recentemente di giochi indie con una grafica in stile 8-16 bit ne abbiamo visti a pacchi e ormai, anche per i nostalgici, è difficile commuoversi per una manciata di pixel. Ciononostante, malgrado i ricordi di giochi come Sword & Sworcery e Where is my Heart? siano ancora impressi nella nostra memoria, lo stile di Fez riesce ugualmente e a far strabuzzare gli occhi.
Siamo infatti ai massimi livelli dell'arte pixellosa, è impossibile non rimanere estasiati dal magistrale lavoro svolto da Polytron per cercare di rendere Fez una delle esperienze visive più appaganti degli ultimi tempi.

Ma la bellezza di Fez non è da ricercarsi esclusivamente nel suo particolare stile grafico.
Se Fez è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno nel panorama videoludico odierno lo si deve principalmente alle sue meccaniche di gioco.
In Fez si gioca con la prospettiva.
Controllando il protagonista Gomez avremo il potere di ruotare di trecentosessanta gradi gli scenari di gioco. Livelli in apparenza bidimensionali scopriranno quindi la tridimensionalità, in maniera simile a quanto avveniva nell'ottimo Super Paper Mario.
Ed è in questo modo, roteando il mondo circostante e pasticciando con gli effetti prospettici, che dovremo venire a capo di gran parte degli enigmi ambientali proposti dal gioco di Phil Fish.
Il nostro obiettivo sarà quello di raccogliere abbastanza cubi dorati per giungere al termine del gioco.
Alcuni cubi verranno trovati integri, altri andranno ricomposti raccogliendone i pezzi in giro per i livelli. Livelli che, sottolineiamolo, sono tutti collegati tra loro nella più classica struttura alla Metroid-Vania.
Ma in Fez non ci saranno solo i cubi dorati. Vi saranno ad esempio i manufatti e gli anticubi, la cui scoperta richiederà spesso la risoluzione di enigmi particolarmente complessi.
Ed è proprio la complessità dei puzzle il motivo per cui questo gioco ha fatto letteralmente impazzire il mondo che videogioca.

Completare Fez scovandone tutti i segreti, senza alcun aiuto esterno, è un'impresa che rasenta il sovraumano.
Il gioco di Phil Fish è letteralmente infarcito di segreti e rompicapi capaci di far esplodere la testa.
Se arrivare al finale pezzente è una cosa alla portata di qualsiasi giocatore abbastanza rodato, terminare il gioco scoprendo tutto lo scopribile richiede una quantità spropositata di materia grigia.
Molti enigmi richiedono ad esempio di decifrare glifi, di conseguenza è inevitabile ritrovarsi a giocare appuntandosi simboli su un foglio di carta e azzardando traduzioni nemmeno fossimo alle prese con una versione di greco.
Altre volte si sfiora addirittura il metareferenziale, ma non vi racconto niente per evitare spoiler.

Il bello di un gioco come Fez è la capacità di far fuoriuscire la parte migliore dei videogiocatori.
Con Fez la figura del videogiocatore torna ad essere quella dell'avventuriero romantico sempre in cerca di una sfida difficile e appagante.
Su internet, in questi giorni, è stato tutto un fiorire di gente che si aiuta o che collabora per venire a capo di questo o quel mistero. Tra un paio di settimane sarà tutto finito e ci saranno soluzioni già belle che pronte, chiaro, ma per il momento è fighissimo assistere a una roba che, per certi versi, riporta alla memoria addirittura la ricerca dell'Easter Egg di Halliday in Ready Player One.
Che poi va bè, lo stesso Ready Player One si ispirava a sua volta ai giochi d'avventura anni Ottanta (genere da cui anche Fez attinge a piene mani), quindi è tutto ciclico!

In buona sostanza, Fez è fantastico.
Mi rendo conto che un gioco simile, oggi come oggi, possa sembrare spocchioso, pretestuoso e inaccessibile ai più.
La verità è che Fez è un titolo carico di mistero e di fascino, capace di trasmettere quel senso di meraviglia che solo pochi videogiochi sanno trasmettere.
Ed è essenziale che si comprenda il valore di un capolavoro simile.
Non capire la bellezza di Fez, a mio avviso, significherebbe un po' non capire perchè i videogiochi sono una roba tanto bella.

sabato 21 aprile 2012

Ammucchiata di re

Non ho ancora parlato della seconda stagione di Game of Thrones.
Non che ci sia troppo da dire dopo soli tre episodi, in ogni caso eccomi qui.
Ebbene, mi sta piacendo.
Mi pare che in giro per la rete ci sia molta più gente scontenta rispetto a quanta ce n’era ai tempi della prima serie.
Secondo me il motivo è semplice: molti di quelli che avevano visto la prima stagione senza aver letto i libri di Martin, ora i libri li hanno letti. Di conseguenza hanno approcciato questa seconda serie con occhio più critico e, inevitabilmente, hanno finito per dare maggior peso alle differenze tra serie televisiva e controparte cartacea.
Dico questo perché in fin dei conti è accaduta la stessa cosa anche a me. Mi sono letto A Clash of Kings la scorsa estate, quindi mi risulta estremamente difficile non fare confronti.

Mi sbaglierò, ma ho come l’impressione che Game of Thrones sia una serie che perda parecchio se si sono già letti i libri da cui è tratta.
Perde soprattutto agli occhi dei perfezionisti che esigono la fedeltà totale al libro, che fanno la punta al cazzo se un personaggio dice “Mah” invece di “Bah” e che iniziano a grattarsi in preda alle convulsioni al solo sentire la parola “adattamento”.
Sì, insomma, quelli che sostengono che Il Signore degli Anelli di Peter Jackson faccia schifo perché manca Tom Bombadil!

Discorso diverso se si cerca di approcciare la seconda stagione di Game of Thrones sapendo che (per motivi di budget o semplicemente perché in dieci episodi non puoi mettere tutto) molte cose verranno raccontate in maniera diversa, molte altre verranno un filo stravolte e altre ancora verranno del tutto omesse.
Era una cosa già accaduta nella prima serie del resto. Tipo con la prima battaglia di Tyrion.

Personalmente cerco di gustarmi questa seconda stagione senza fare troppi confronti e cercando di non fare la faccia schifata ogni volta che una cosa viene cambiata di una virgola.
C’è da dire che forse il secondo libro non si presta benissimo ad essere trasposto in serie tv. In queste puntate lo si nota abbastanza, visto che si continua a saltare da un personaggio all’altro e raramente accade qualcosa di veramente interessante.

L’unica critica su cui mi trovo d’accordo riguarda la presenza fin troppo invasiva di scene di sesso.
E’ vero che anche nel libro si tromba parecchio, ma qui a volte mi sembra che si esageri.
Le scene nel bordello di Ditocorto, ad esempio, sono completamente inutili e irrilevanti ai fini della storia.
Però va beh, anche nella prima stagione c’era parecchio sesso, quindi è una cosa su cui si passa tranquillamente sopra.

In ogni caso prepariamoci, perché credo proprio che quando la seconda serie di Game of Thrones finirà ci sarà una shit-storm di proporzioni epocali.
Chi ha letto il libro saprà benissimo con che cosa si conclude e immaginerà anche che per  riuscire mostrare in maniera convincente una roba simile in una serie tv ci vorrebbe il budget di Avengers. Quindi è probabile che vedremo un bel po’ di stravolgimenti e un’orda di fan incazzati intenti a firmare petizioni per cambiare il finale!

venerdì 20 aprile 2012

Battleship

Sulla locandina di Battleship esposta nel multisala che frequento abitualmente campeggiava la scritta “Dai creatori di Transformers”.
Una frase del genere, da sola, sarebbe dovuta bastare a tenermi lontanissimo da questo film, dato che considero Transformers 2 e 3 le peggiori puttanate apparse al cinema in tempi recenti.
Però mi conoscete, sapete che sostanzialmente sono un tamarro e che, sotto sotto, ho un debole per le americanate piene di esplosioni.
Quindi, in fin della fiera, sono andato a vedere Battleship, incoraggiato anche dal fatto che il regista non fosse Michael Bay ma Peter Berg.
E che dire, mi è piaciuto un sacco.

Battleship è ispirato al gioco della Battaglia Navale della Hasbro (ormai non sanno più che cappero inventarsi) ma, oltre alle corazzate e alle portaerei, in questo adattamento cinematografico viene infilata a forza anche una bella invasione aliena, che in un film di fantascienza casinaro non guasta mai.
Battleship è la classica minchiatona americana piena di militari cazzoduro, bandiere a stelle e strisce e frasoni ad effetto talmente pomposi che ti fanno capottare sulla poltrona del cinema.
Tuttavia, a differenza appunto dei succitati sequel di Transformers, Battleship è una minchiatona americana confezionata bene, che intrattiene alla grande dall’inizio alla fine, non annoia mai e non ti fa venir voglia di morire con gag di una tristezza epocale.

Il film di Peter Berg è un pop-corn movie che funziona.
Il cast è buono, tutti i personaggi, pur non essendo ovviamente memorabili, sono ben caratterizzati e riescono nel difficile compito di non stare antipatici a pelle.
Taylor Kitsch, dopo l’ottimo John Carter, si conferma un attore apprezzabile, Liam Neeson è un grosso come al solito e Brooklyn Decker è una topa da spavento. Non ci avrei scommesso due lire, ma pure Rihanna ci sta bene nel ruolo della Michelle Rodriguez di turno.

Persino la sceneggiatura riesce ad essere tutto sommato gradevole.
In un paio di momenti Battleship riesce anche a stupirti con delle trovate nemmeno troppo banali, il che, per un film simile, è già un mezzo miracolo.
Simpatici i dialoghi che, come detto, non tediano mai e riescono addirittura a strapparti una risata in più di un'occasione. Battleship non si prende mai troppo seriamente, di conseguenza anche la retorica tipicamente ammerregana riesce a non risultare indigesta o messa lì alla cazzo di cane.
Allo stesso tempo, tuttavia, la comicità non appare mai eccessivamente forzata o fuori luogo (com'era appunto nei due insopportabili sequel di Transformers) e l'alternanza tra momenti drammatici e leggeri è sempre ben gestita.
Il che, se vogliamo, è un altro mezzo miracolo.

Dove il film di Berg sloga letteralmente la mascella è chiaramente negli effetti speciali e nelle sequenze fracassone, che sono tante, ben realizzate e assolutamente oversized.
Da questo punto di vista Battleship è un filmone spettacolare che assolve perfettamente il suo compito di stordire lo spettatore con due ore di adorabile casino.
Tutto il film è una gigantesca giostra con pochissimi tempi morti.
Non si fa in tempo a riprendersi da una scena assolutamente totale che subito Berg te ne sbatte in faccia un’altra ancora più esagerata di quella di prima.

Temevo che Battleship si rivelasse un film che tentasse di copiare lo stile di Michael Bay, rivelandosi addirittura peggiore di un film di Michael Bay stesso.
Invece, sorpresa, il risultato è indiscutibilmente migliore.
Battleship è il classico blockbuster di cui non si sentiva assolutamente bisogno nel panorama cinematografico odierno, per carità.
Tuttavia, per una volta, abbiamo un bel blockbusterone godibile, che non sembra roba per lobotomizzati e che spacca dall’inizio alla fine.
Promosso a pieni voti.

giovedì 19 aprile 2012

God of War Ascension: Kratos torna su PS3!

Come era stato anticipato qualche giorno fa da un'immagine apparsa sulla pagina Facebook di PlayStation, oggi è stato annunciato un nuovo episodio di God of War!
Il primo trailer mostrato, leakato come al solito in anticipo di qualche ora, è un breve teaser piuttosto avaro di informazioni e probabilmente per vedere qualcosa di più concreto su God of War Ascension dovremo attendere l'E3.
Quel che è certo è che questo capitolo non sarà un vero e proprio God of War IV, ma una sorta di episodio derivativo sulla falsariga di Ghost of Sparta e Chains of Olympus, anche se stavolta gli sviluppatori saranno i Santa Monica e non i Ready at Dawn di Pessino.
Altra cosa certa è che Ascension non uscirà su Vita come si era inizialmente sospettato, ma su PS3.

Chi sperava in un cambio di rotta della saga, magari con un nuovo protagonista e una nuova ambientazione (si parlava di mitologia nordica o egizia), si ritroverà probabilmente un po' deluso, visto che questo Ascension sembrerebbe più che altro uno spin-off di God of War 3.

Non che sia necessariamente un male, intendiamoci.
God of War 3 era un giocone e un altro titolo action della stessa risma non può che essere ben accetto.
Anche perchè non è che di action ne escano così tanti ultimamente.

mercoledì 18 aprile 2012

Real Steel

Mi stupisco sempre di come film per cui nutro pochissimo interesse e per i quali non ho alcuna aspettativa riescano a divertirmi in maniera decisamente più convincente di tante altre zozzerie che, sulla carta, mi incuriosiscono parecchio.
E’ il caso di questo Real Steel che, quando uscì al cinema qualche mese fa, snobbai senza troppe remore.
E sbagliai a snobbarlo.

Real Steel è sostanzialmente Rocky che incontra Over the Top, con in mezzo tanti robottoni sferraglianti che si ammazzano di legnate.
Siamo in un futuro non troppo lontano in cui gli incontri di pugilato tra esseri umani sono stati sostituiti da scontri all’ultimo sangue (anzi, all’ultima goccia d’olio) tra robot antropomorfi.
In questo scenario Hugh Jackman interpreta un ex pugile di nome Charlie Kenton che si guadagna da vivere programmando e allenando robot da combattimento, con scarso successo in verità.
Proprio nel momento in cui la sua carriera sembra aver raggiunto il punto più basso, Charlie si vede obbligato a riallacciare i rapporti con il figlio che non ha mai conosciuto e la sua vita giunge finalmente a un punto di svolta decisivo.

Insomma, come si può intuire Real Steel è il classico filmetto per tutta la famiglia il cui tema centrale è appunto il rapporto tra padre e figlio. E in cui, ovviamente, i buoni sentimenti non possono fare a meno di trionfare.
Però sticazzi se la premessa di fondo è trita e ritrita, perché Real Steel funziona.
E’ un film che non risulta mai eccessivamente melenso e che riesce costantemente a divertire senza mai annoiare.
Belli i combattimenti tra robot, spettacolari e con la giusta “fisicità”. Vedere questi bestioni di metallo che si tirano cartelle pesantissime è parecchio godurioso e alla fine le cyber-azzuffate riescono a coinvolgere il giusto.

Convincente il cast.
Jackman è ottimo come al solito e ruba un po’ la scena a tutti quanti, ma segnalo, nel caso interessi a qualcuno, la presenza di due personaggi provenienti dal cast di Lost, per la precisione Evangeline Lily e Kevin Durand (Keamy, ve lo ricordate?).

Un buon film intrattenimento dunque.
Chiaramente non ha grosse pretese e non verrà ricordato come uno dei film d’azione e di fantascienza migliori di sempre, ma in definitiva è sicuramente più carino di molte altre vaccate che ho visto di recente.
Dategli un occhio.

domenica 15 aprile 2012

Wiskast

Altro giro, altro podcast!
Ieri vi ho descritto le meraviglie di Outcast Sound Shower, oggi voglio parlarvi di Wiskast!

Wiskast è un podcast videoludico con una formula abbastanza particolare.
A differenza di quasi tutti gli altri podcast che popolano la rete, infatti, qui non si parla praticamente mai del “mondo dei videogiochi” in senso ampio e generale. Raramente ci si lancia in pippe mentali sul futuro dell’industry o si discute per ore di questa o di quella news. Per lo stesso motivo, su Wiskast non ci sono mai digressioni su argomenti che, con i videogiochi, non c’entrano una fava.
Wiskast è un podcast di videogiochi che parla esclusivamente di giochi giocati!

Per lungo tempo i conduttori sono stati solo due, Cryu e Wis.
Il dinamico duo, in ogni episodio, analizza in maniera approfondita una manciata di titoli, con una particolare attenzione alle ultime uscite, ma anche con un occhio di riguardo per i giochi del passato e le nerdate un po’ di nicchia.
In Wiskast i giochi vengono trattati in ogni più piccolo dettaglio. Si parla in maniera minuziosa di ogni aspetto del gameplay, del level design e del comparto grafico (la presenza del sunshaft è una discriminante fondamentale per distinguere i giochi con una grafica bella da quelli con una grafica brutta, ricordatelo).
Ma attenzione, perché l’analisi non è asettica e fredda come si potrebbe credere. Cryu e Wis sono videogiocatori a cui i giochini piacciono davvero tanto, quindi riescono a far trasparire chiaramente le emozioni suscitate da questo o quel gioco.
Capita spesso che questi due drogati di gameplay riescano a farti venire una gran voglia di provare un titolo che inizialmente non ti interessava minimamente.
Diavolo, stavo per comprare Dark Souls.
E avete presente quella grandissima figata di Bulletstorm? Ecco, mi sono convinto a giocarlo dopo averne sentito parlare in maniera entusiastica su Wiskast!

Per un videogiocatore appassionato l’ascolto di Wiskast è a mio avviso obbligato.
Lo stile competente del podcast ricorda molto quello di riviste storiche come Super Console o Videogiochi, mie inseparabili compagne di mille e soddisfacenti sedute sulla tazza del water (ehm, è vero, le leggevo soprattutto lì).
Inoltre, nonostante spesso il linguaggio usato sia molto tecnico, Wiskast non annoia mai. Tra i due conduttori c’è un’alchimia spettacolosa e ascoltarli mentre si punzecchiano a vicenda è spesso spassosissimo. Tra l’altro è piacevole anche che i due non si lascino mai andare a volgarità assortite e che il linguaggio utilizzato sia sempre pulito e privo di parolacce.
Recentemente, comunque, ai conduttori originari se ne è aggiunto un terzo, Teokrazia, che, nelle intenzioni, dovrebbe portare un po’ di grezzaggine in famiglia e una maggior attenzione per quanto riguarda i titoli multiplayer, con cui sia Cryu che Wis non vanno eccessivamente d’accordo.

Gli episodi usciti fino ad oggi sono parecchi.
Visto che nessuno di essi è legato a notizie o eventi di un particolare periodo, è sensatissimo ascoltarli anche con un ritardo di mesi. Spulciate il blog di Wiskast e scaricate quelli in cui si parla dei giochi che vi interessano.
Consiglio in particolare Wiskast #8: Alieni ripieni, in cui si parla in maniera dettagliatissima di Portal 2 e della saga di Half-Life.
Oppure, se vi interessano i platform, andate di Wiskast #03: Panettone multigiocatore, con Wis che parla di Super Meat Boy e Donkey Kong Country Returns.
Tra l’altro giusto, altro tocco di classe: ogni episodio ha un titolo a tema culinario!


L’ultima puntata uscita (una puntata speciale) è particolarmente interessante, visto che si parla della serie di Ninja Gaiden e c’è una sorprendente disamina di Cryu sul discusso Ninja Gaiden 3.
Sorprendente perché, a differenza della critica che lo ha demolito in ogni dove, Cryu promuove l’ultimo titolo Team Ninja e lo considera un action game ben più che dignitoso.
Io non so se abbia ragione o meno, Ninja Gaiden 3 devo ancora giocarlo (e lo farò), ma posso dire che del parere dei ragazzi di Wiskast mi fido più o meno ciecamente (soprattutto quando si parla di action).
Spesso infatti mi sono ritrovato in pieno nelle cose che dicevano, sia per quanto riguarda i titoli apprezzati come appunto Bulletstorm, sia per quanto riguarda i titoli un po’ deludenti.
Forse ecco, solo con il parere di Wis su Zelda Skyward Sword non mi sono trovato del tutto. Principalmente perchè io sarei stato ancora più critico di lui! XD

sabato 14 aprile 2012

Outcast Sound Shower

Da buon appassionato di videogiochi e, soprattutto, da buon appassionato di chiacchiere sui videogiochi, sono un accanito ascoltatore di podcast videoludici.
Ne ascolto una mezza infinità, tanto è vero che, se non li sentissi in palestra tre volte alla settimana, dubito che riuscirei a trovare il tempo di stare dietro a tutto.
Di riflesso, se non avessi la compagnia dei podcast, penso che non troverei mai la voglia di andare ad allenarmi con costanza, visto che sollevare la ghisa su e giù per un’ora è tendenzialmente una roba che alla lunga finisce per annoiare a morte.
Nella mia vita c’è quindi una specie di rapporto simbiotico tra nerdaggine e attività fisica. Fighissima ‘sta cosa.
Comunque sia, uno dei podcast a cui sono maggiormente affezionato è Outcast.

Condotto da giopep e parecchia altra gente proveniente dalla stampa specializzata e non, Outcast riesce nell’intento di miscelare alla perfezione competenza professionale, simpatia e una buona dose di coglionaggine.
L’ascolto è sempre piacevole e interessante. Spesso e volentieri ci si ritrova a ridere come dei cretini per una battuta sui gusti sessuali di Miyamoto o per un'imitazione di Napolitano, altre volte si ascoltano discussioni illuminanti su un gioco in particolare o sul mondo dei videogiochi in generale.
Insomma, in questo momento storico in cui non esiste una rivista di videogiochi a cui mi sento particolarmente legato, un podcast come questo è una sorta di manna.
Se non ci fosse Outcast la mia vita di videogiocatore continuerebbe? Bè, sì, però mi mancherebbe qualcosa, ecco.

Recentemente poi, Outcast si è rivoluzionato!
Da semplice podcast quale era, è infatti diventato un sito a tutti gli effetti. Un sito gestito tra l’altro con grande voglia di fare, ricco di news aggiornatissime, recensioni e numerosi articoli di approfondimento. Una goduria per chi, come il sottoscritto, ama tenersi sempre informato sul mondo dei giochini.

In concomitanza con il sito sono sbocciati anche un sacco di progettini collaterali.
Ci sono parecchi podcast video (ce n’è anche uno di cucina), ma soprattutto l’offerta dei podcast audio si è ampliata e ora, oltre al Magazine, alle chiacchiere, alle monografie e agli episodi speciali, è possibile ascoltare Outcast Sound Shower!

Outcast Sound Shower, come il nome di Out-Runiana memoria potrebbe far intuire ai più attenti, è un podcast incentrato sulla musica dei videogiochi.
Alla conduzione ci sono Fabio “Kenobit” Bortolotti e Andrea Babich, un duo che, fidatevi, ne sa a pacchi!
Videogiocatori incalliti di lunga data, entrambi nutrono una grande passione per i videogiochi d’annata, le sonorità 8 bit e per la musica chiptune. Fabio, per intenderci, organizza serate in cui suona un Game Boy!

I due conduttori fanno da Ciceroni e raccontano all’ascoltatore la storia dei videogiochi attraverso la musica.
Ascoltare Outcast Sound Shower è qualcosa di ipnotico, perché si percepisce chiaramente la passione che c’è dentro e la voglia di approfondire una cosa bellissima che altrove viene sempre approfondita troppo poco.
Sia Fabio che Andrea riescono a trasmettere il loro amore viscerale per i pezzi che stanno proponendo (e, ovviamente, per i giochi stessi da cui tali pezzi sono tratti) e ascoltarli mentre si emozionano parlando delle musiche di Out Run o per come viene suonato il chip sonoro del Commodore 64 è una roba che quasi commuove.

Per ora gli episodi pubblicati sono tre, tutti con un tema ben preciso.
Il primo si intitola “La migliore SEGA della nostra vita” (LOL) e chiaramente è totalmente incentrato sulla musica dei giochi SEGA. Si parte dall’arcaico Pengo, si passa per grandi classici come Space Harrier e Hang-On e si arriva fino agli anni Duemila, con le musiche di Jet Set Radio e Bayonetta.
Il secondo episodio è incentrato sui “picchiaduro a scorrimento ad ambientazione metropolitana in cui devi salvare qualcuno”. Final Fight, Double Dragon, Streets of Rage e compagnia bella.
Lacrimuccia di nostalgia quando è partita Sewer Surfin di Turtles in Time, per quanto mi riguarda!
Il terzo episodio, uscito giusto questa settimana, è invece a base di robottoni giapponesi. Da segnalare, tra le altre cose, la presenza di una cover della sigla italiana di Jeeg Robot d’acciaio composta direttamente da Fabio sul suo Game Boy (potete scaricarla direttamente qui volendo).

Insomma, tanta, tanta, tanta roba!
Bravi Kenobit e Babich, continuate così che spaccate tantissimo!

Tutti a scaricare, veloci!
Outcast Sound Shower #1 – La migliore SEGA della nostra vita
Outcast Sound Shower #2 – Beats of Rage: i pugni nelle mani
Outcast Sound Shower #3 – Domo Arigato, Mr. Roboto

Che poi sì, effettivamente ascoltare una puntata di Sound Shower proprio mentre ci si allena in palestra non è l’ideale per gustarsela appieno. La cosa migliore, seguite il mio consiglio, è darsi all’ascolto quando si è belli rilassati, stravaccati sul divano e con una birretta ghiacciata a portata di mano!

mercoledì 11 aprile 2012

Ridge Racer Unbounded

Il primo approccio con Ridge Racer Unbounded è stato straniante.
E’ bizzarro trovarsi a giocare a un Ridge Racer che non è un Ridge Racer.
Per la prima oretta di gioco ci si chiede se questo "reboot" possa essere effettivamente il modo giusto per ridare vita a una serie agonizzante.
Inizialmente ci si domanda inevitabilmente se dare in mano lo sviluppo dell’ultimo titolo di una storica saga giapponese a uno studio occidentale come i Bugbear (responsabili dei Flatout) sia stata una buona idea.
Perché Unbounded ha completamente perso l’identità che caratterizzava la serie targata Namco. Non ha più niente dei vecchi giochi della saga, tabula rasa. E’ un gioco di corse arcade occidentale, un clone di Burnout o di Split/Second.

Da un certo punto di vista, quindi, Unbounded è una delusione totale.
Se è vero che negli ultimi anni Ridge Racer ha iniziato a rompere i coglioni, è anche vero che chi, come me, è cresciuto con un Dual Shock 1 tra le mani ha nel cuore giochi come Rage Racer o Ridge Racer Type 4.
E insomma, mette un po’ di tristezza constatare che Namco non sia riuscita a innovare la propria serie senza snaturarla completamente, trasformandola invece in qualcosa di completamente diverso.
Ma, del resto, forse l'unica soluzione percorribile era questa. Inutile prenderci in giro, lo sappiamo tutti che la Namco di oggi non riuscirebbe mai a tirare fuori un gioco di corse ground-breaking come fece nel corso degli anni Novanta.
All’epoca erano altri tempi, era un’altra Namco ed era un altro Giappone.

L’amarezza tuttavia dura poco.
Perché, sebbene non ci sia quasi più nulla dei vecchi Ridge Racer, Unbounded è un racing game arcade validissimo.
Bugbear ha messo a frutto l’esperienza maturata coi Flatout ed è riuscita a sfornare un piccolo capolavoro divertentissimo, veloce e adrenalinico.
Come detto, Unbounded è figlio della scuola di Burnout e Split/Second, vale a dire che, oltre a cercare di rimanere in testa, bisognerà preoccuparsi di fare a sportellate con gli avversari e di distruggere elementi dello scenario per mantenere piena la barra del turbo o trovare scorciatoie. A ricordare il feeling dei precedenti episodi sono rimaste solo le derapate, che però qui funzionano in maniera completamente nuova e prevedono un utilizzo intensivo del freno a mano.

Padroneggiare il nuovo modello di guida non è semplicissimo.
La curva di difficoltà è elevata e sin da subito ci si ritroverà a sudare per cercare di arrivare primi.
Unbounded è un gioco ostico e richiede una certa dose di dedizione. Il giocatore che non si lascia scoraggiare, tuttavia, avrà grosse soddisfazioni e si divertirà come un matto a correre per le strade di Shatter Bay sfasciando tutto lo sfasciabile.

Infine c’è l’editor.
Unbounded offre un ottimo editor di tracciati e online si possono trovare già parecchie piste interessanti e anche abbastanza fuori di testa.

Ridge Racer Unbounded, in definitiva, pur non essendo un gioco perfetto o rivoluzionario e pur buttando nel cesso l'identità di una serie che ha fatto la storia dei videogiochi, offre qualcosa che gli ultimi Ridge Racer non sono riusciti a offrire in maniera del tutto convincente: un’esperienza arcade solida, fresca e appagante, assolutamente degna di essere gustata se si è appassionati di questo genere.
A Bugbear non si poteva chiedere di meglio.

martedì 10 aprile 2012

Post cinematografico del dopo Pasqua

Allora, approfittando del periodo pasquale mi sono visto un bel po’ di film.
Passiamoli in rassegna.

Super
Me lo sono riguardato in versione raggio-blu.
Ne parlo più approfonditamente qui.
La seconda visione conferma la bontà del film di James Gunn.
Gunn, ricordiamolo, ha lavorato anche sulla sceneggiatura di Lollipop Chainsaw, che attualmente è il gioco del 2012 che attendo di più.
15 Giugno segnato in rosso sul calendario.
E Jessica Nigri, la cosplayer che abitualmente indossa i (pochi) panni di Juliet, è una gnugna di quelle astronomiche.
Fantastico vederla mentre fa la pagliaccia in giro per le varie fiere!
"La Madonna! Ho visto la Madonna!" [cit.]


A Dangerous Method
Che colossale rottura di coglioni.
Un’ora e mezza con Jung e Freud che si ammazzano di pippe mentali sulla psicoanalisi è una roba che davvero fatico a reggere, poco importa se in un paio di scene c’è Fassbender che sculaccia Keira Knightley.
Cast spettacoloso, ma che menata!
Non fa per me.


La peggior settimana della mia vita
Poco da dire, la solita commedia italiana un po’ insipida.
Oh, a me De Luigi non dispiace nemmeno troppo come attore, ma ciò non toglie che faccia spesso filmetti un po’ tanto “meh”.
Questo La peggior settimana della mia vita è sostanzialmente una sorta di Ti presento i miei, solo che fa meno ridere.
Evitabilissimo.
Nel cast, oltre a De Luigi, ci sono la Capotondi, Siani e Arisa. Davvero, Arisa.


Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello, Le Due Torri, Il Ritorno del Re
Visti tutti e tre a sprazzi approfittando della maratona che hanno fatto su Sky nella giornata di Pasqua.
Per capirci, mentre cenavamo a casa di mia nonna abbiamo lasciato acceso il televisore in salotto e ci siamo scofanati i resti del capretto con in sottofondo la battaglia dei campi del Pelennor!
Una roba talmente epica che levatevi.
Ah, ribadisco tuttavia che il finale del Ritorno del Re è davvero troppo prolisso, anche se in effetti era difficile accorciarlo ulteriormente rispetto al libro.
Comunque tre filmoni assurdi, grandissimo Jackson e grande aspettativa per Lo Hobbit.

domenica 1 aprile 2012

Romanzo Criminale - La serie

Romanzo Criminale – La serie è probabilmente una delle cose migliori che siano mai state girate in Italia.
Se il film di Michele Placido, pur essendomi piaciuto, mi aveva lasciato abbastanza freddino, lo stesso non si può dire dei ventidue episodi che compongono la prima e la seconda stagione di quella che reputo una delle serie televisive più belle di sempre.
Essì, perché vedendo l’opera girata da Stefano Sollima mi sono sentito coinvolto, emozionato e commosso come mai mi era accaduto con altra roba vista sul piccolo schermo.

Romanzo Criminale – la serie è una figata per svariati motivi.
Prima di tutto perché è una serie italiana coi controcoglioni, fatto di per sé già abbastanza straordinario.
In Italia siamo abituati a fiction di basso livello, interpretate il più delle volte da attori cani, girate in maniera schifosa e con dialoghi tremendamente soporiferi. Insomma, siamo abituati a robaccia inguardabile.
Romanzo Criminale è invece un’opera di tutt’altra pasta, capace addirittura di far sfigurare in maniera plateale parecchie serie tv d’oltreoceano e di giocarsela ad armi pari con roba di qualità indiscutibile come Band of Brothers o Game of Thrones.

Sì, perché dietro a Romanzo Criminale c’è una bellissima regia e una sceneggiatura della madonna.
C’è una cura per i dettagli notevole, che traspare nel modo in cui viene rappresentata la Roma degli anni di piombo e nelle piccole cose come la scelta della colonna sonora.
Colonna sonora che, va detto, è una delle cose migliori del telefilm, visto che sa proporre un sacco di pezzi storici degli anni Settanta e Ottanta e, ciliegina sulla torta, è riuscita addirittura a farmi adorare un paio di canzoni di Vasco Rossi.
Cosa che, fino ad oggi, mi era capitata solo con La nostra vita.
Ma non è tutto.
Perché in Romanzo Criminale ci sono anche attori bravissimi, tutti assolutamente in parte, che interpretano personaggi meravigliosi (a livello di caratterizzazione si intende, visto che comunque si sta parlando di criminali a tutto tondo).
E fa quasi incazzare constatare che, in Italia, vedere degli attori giovani e con capacità recitative di un certo livello sia un fatto al di fuori dall’ordinario.
Fa incazzare che, nel nostro paese, produzioni come questa si contino sulle dita di una mano. Anzi, nemmeno quello, perché in effetti non mi viene in mente nulla di paragonabile a Romanzo Criminale.

Quel che ho scritto dovrebbe bastare a farvi capire che la visione di questa serie è abbastanza imprescindibile.
Tenete anche conto del fatto che personalmente non vado esattamente matto per il genere dell’ “epopea criminale”, di solito le robe che parlano di criminalità organizzata non mi attirano un granché.
Quindi insomma, il fatto che Romanzo Criminale mi abbia gasato a tal punto è un’ulteriore prova della sua qualità.
Del resto è impossibile non appassionarsi a una storia così ben raccontata.
L’ascesa e la caduta della “Banda” incolla letteralmente al divano. Tutti i personaggi sono ben delineati, in parte per merito degli attori e in parte, come detto, per un magistrale lavoro di caratterizzazione.
L’evoluzione che il Dandi attraversa nel corso delle due stagioni, per fare un esempio, è qualcosa di memorabile.
Ma non solo, perché se i tre capi della banda inizialmente sembrano svettare su tutti gli altri per carisma, in seguito anche i comprimari acquistano spessore e si rivelano ben più di personaggi secondari messi lì per far numero.

Si potrebbe forse criticare Romanzo Criminale dicendo che, in fondo, ha questa fastidiosa tendenza a rappresentare come degli “eroi romantici” quelli che nella realtà sono stati dei delinquenti o degli spietati assassini.
In un certo senso è proprio così, visto che di fatto la serie di Sollima non fa altro che presentare una versione romanzata della storia della banda della Magliana, organizzazione criminale che ha veramente operato a Roma tra la fine degli anni Settanta e il 1990.
I personaggi stessi sono chiaramente ispirati ai veri membri della banda, anche se i nomi e i soprannomi sono stati ovviamente cambiati.

In realtà, anche se una certa dose di epica non manca, l’anima di Romanzo Criminale è essenzialmente tragica e malinconica.
Se nella prima serie si assiste a una gloriosa cavalcata verso la conquista del potere e il dominio incontrastato su Roma, nella seconda le cose vanno completamente a ramengo.
Le alleanze si infrangono, arrivano le pugnalate alla schiena, ognuno pensa a sé stesso e la fiducia nei confronti dei compagni va completamente persa.
C’è chi finisce in disgrazia e chi accumula potere in modo del tutto meschino alle spalle degli altri.
La caduta è inesorabile e viene rappresentata in tutta la sua più brutale crudezza.
E, ovviamente, una vita all’insegna del crimine non può che avere un epilogo tragico in cui non si vince, la giustizia non trionfa e la verità non viene a galla.

Romanzo Criminale – la serie finisce lasciandoti addosso una sensazione strana, difficile da spiegare.
Un groppone allo stomaco, una malinconia che nessun’altra serie televisiva era riuscita a trasmettermi.
E alla fine, dopo aver spento la tv e aver riposto il cofanetto sulla mensola, sono rimasto con la consapevolezza di aver visto uno dei pochi capolavori della televisione italiana.
E me ne sono andato a dormire sapendo che non potrò dimenticarmi facilmente di quelli che stavano col Libanese.