giovedì 29 marzo 2012

Topolino, pallone e Nicolas Cage

News numero uno:
Pochi giorni fa è stato annunciato il seguito di Epic Mickey.
Il nuovo lavoro di Warren Spector si chiamerà Epic Mickey 2: L'avventura di Topolino e Oswald e stavolta, oltre che su Wii, uscirà anche su girobotolo e PS3.
La cosa interessante è però un'altra.
In concomitanza con il seguito per console casalinghe è stato infatti annunciato anche un Epic Mickey esclusivo per 3DS che porterà il pittoresco nome di Epic Mickey: Power of Illusion.

Il titolo in questione vorrebbe essere un seguito ufficioso di Castle of Illusion, platform spettacoloso uscito una ventina di anni fa su Mega Drive, Master System e Game Gear.
I primi screenshot trapelati sembrano promettere bene e fanno intuire che Power of Illusion sarà un gioco di piattaforme 2D dallo stile grafico molto sedicibittiano.
Gioia e tripudio, insomma.
Resta da vedere come verranno implementati i controlli tramite lo schermo inferiore (cosa su cui, pare, il gioco punterà molto), ma da queste parti, ogni volta che viene annunciato un platform 2D con una grafica del genere, non si può fare a meno di iniziare a saltellare sul posto in preda a una gioia incontrollabile.

Seconda news:
Quest'anno non uscirà il gioco sugli Europei.
E' stato infatti annunciato che Euro 2012 verrà commercializzato come DLC di Fifa 12.
Ottima notizia per quanto mi riguarda, visto che ormai 'sta cosa di far uscire ogni due anni un gioco a tema per i mondiali e per gli europei stava diventando un po' obsoleta. Tanto più che, spesso e volentieri, si trattava semplicemente di una versione estiva del Fifa uscito l'anno precedente, con poche novità e rifiniture a livello di gameplay.
Bene così quindi, finalmente un uso intelligente dei DLC.
Il prezzo sarà un po' alto per un contenuto scaricabile (si parla di 1800 Microsoft Points su XBOX 360 e 19,99 euro su PS3), ma rispetto alle sessanta carte necessarie per un gioco retail è comunque un passo avanti, no?
L'uscita nel vecchio continente è prevista per il 24 Aprile.

Chiudo, và.
Ah, stasera vado a vedere Ghost Rider: Spirit of Vengeance.
Un pronostico?
Bè, francamente la vedo bruttissima! Al limite ne parlerò prossimamente.
See ya!

martedì 6 marzo 2012

Il Patriot... Ehm, Assassin's Creed III!

br />Oh, mi ingrifa non poco!
Intendiamoci, come accennavo l'altro giorno su Facebook l'ambientazione scelta mi ha inizialmente lasciato un po' perplesso.
Non serve un genio per capire che in Ubisoft puntano a ingraziarsi il pubblico a stelle e strisce e che il loro obiettivo sia quello di incrementare oltremisura le vendite sul territorio statunitense.
Chiamali scemi.
Ma non è questo il problema. Poco me ne frega se dietro alla scelta dell'ambientazione ci sono (anche) motivazioni commerciali.
Se il gioco si rivelerà effettivamente bello me lo godrò senza farmi troppe menate e me ne sbatterò altamente il cazzo della sua natura di "commercialata".
E poi, dal punto di vista storico e narrativo, la guerra d'indipendenza americana ci sta eccome.
Considerando le tematiche di cui tratta la saga si potrebbero tirare fuori parecchie cosette interessanti, dalle teorie complottistiche più disparate fino alla massoneria.
No, no, da questa prospettiva la rivoluzione americana è oggettivamente una figata, poche palle.
E, tra le altre cose, è pure un periodo storico sottosfruttatissimo nel mondo dei videogiochi, quindi ben venga.

I miei dubbi sorgevano più che altro per quanto riguarda il gameplay.
Il level design di Assassin's Creed si è sempre basato su scenari urbani di un certo fascino e di una certa complessità.
Nel diciottesimo secolo, invece, non mi pare che le città ammerregane fossero 'sti grandissimi capolavori architettonici e urbanistici. Quindi boh, arrampicarsi sui tetti di New York potrebbe non essere il massimo della vita, considerando che arriviamo dalle bellissime città italiane rinascimentali e da Costantinopoli.

Però sono pippe mentali mie, voglio infatti sperare che alla base di questo terzo capitolo ci sia l'idea di svecchiare in qualche modo il gameplay della serie, magari sviluppandolo meno in verticale e puntando maggiormente sugli scenari naturali piuttosto che su quelli urbani.
E quest'ultima cosa è proprio ciò che questo trailer lascia intendere, visto che si vede l'assassino di turno saltare da un albero all'altro e tendere agguati ai soldati inglesi.

Insomma, hype.
Anche perchè oh, non posso farci niente, ormai la storia di Desmond mi ha intrippato e voglio capire come va a finire la faccenda.
Spero soltanto che Assassin's Creed III sappia portare una boccata d'aria fresca alla serie, Revelations era bello e tutto, ma iniziava ad essere un po' troppo stantio.
Il trailer mi pare promettente a livello d'atmosfera, resta da vedere come sarà il gioco vero e proprio.
E per quello non c'è molto da fare, bisogna armarsi di pazienza e aspettare.

lunedì 5 marzo 2012

Alan Wake's American Nightmare

Questo nuovo Alan Wake ha letteralmente spaccato il giudizio della critica.
Personalmente, dopo averlo giocato e completato, devo ammettere di trovarmi più dalla parte dei delusi che da quella dei soddisfatti.
American Nightmare mi è piaciuto, ma con qualche riserva. E’ un titolo che tenta di percorrere nuove strade ma che, nel farlo, spesso incespica e capitombola rovinosamente su se stesso.

E’ bene comunque tenere a mente che questo American Nightmare rimane prima di tutto uno spin-off scaricabile della saga principale e che quindi può anche permettersi di toppare in alcune cose.
Soprattutto se questi intoppi serviranno a fare in modo che un ipotetico Alan Wake 2 non commetta gli stessi errori.

Iniziamo a parlarne vedendo cosa differenzia questo spin-off dal suo predecessore.
La prima cosa che salta all’occhio è il cambio di atmosfera e di ambientazione.
Se il primo Alan Wake era sostanzialmente una versione videoludica di un libro di Stephen King, questo American Nightmare sembra più che altro cercare di fare il verso ai film pulp di Tarantino o di Robert Rodriguez.
Purtroppo non ci riesce del tutto.
L’ambientazione c’è (il gioco si svolge a Night Springs, cittadina immaginaria dell’Arizona), il problema è che manca del tutto lo stile un po’ sboccato, violento e cazzone che caratterizza tutta la cinematografia tarantiniana.
L’obiettivo di stravolgere con successo l’atmosfera di Alan Wake è stato quindi raggiunto solo a metà.
Gli sforzi di Remedy si concretizzano infatti nelle ambientazioni squisitamente pulp (ci sono il drive in, il deserto, la stazione di servizio) ma, a giudizio di chi scrive, non centrano assolutamente il bersaglio per quel che riguarda il modo in cui la storia viene raccontata.

Altro cambiamento è l’abbondono della struttura a episodi, che era forse uno degli aspetti più interessanti e riusciti del primo Alan Wake, tanto è vero che poi è stata una cosa scopiazzata un po’ da chiunque (solo recentemente lo hanno fatto Asura’s Wrath e Resident Evil Revelations, per dire).
American Nightmare si lascia alle spalle anche la linearità del suo predecessore, diventando una sorta di free roaming.
Le ambientazioni proposte, pur non essendo vastissime, sono esplorabili a piacimento, ma gli obiettivi sono sempre ben chiari e segnalati, per cui è sostanzialmente impossibile perdersi o trovarsi a girare a vuoto.

Altro fatto di un certo interesse è che American Nightmare possiede una struttura ciclica alla Groundhog Day (o, se vogliamo rimanere in ambito videoludico, alla Majora’s Mask).
Per motivi narrativi che ovviamente non vi anticipo, Alan si ritroverà a rivivere gli eventi di una stessa notte e si vedrà dunque costretto a rivisitare più volte le stesse location.
Questa particolarità, che sulla carta potrebbe essere interessantissima, si rivela in realtà dannosissima a livello di gameplay, in quanto finisce inevitabilmente per amplificare il backtracking (già presente a causa della struttura free roaming) oltre il livello di guardia.

Insomma, è vero che il primo Alan Wake era per certi versi fin troppo lineare e presentava un gameplay piuttosto monotono, ma il modo in cui American Nightmare cerca di rivoluzionarne la struttura non funziona un granchè bene.
Se poi oltre a ciò teniamo conto del fatto che questo spin-off perde parecchio anche per quanto riguarda l’atmosfera (che in Alan Wake era qualcosa di oggettivamente spettacolare), ci rendiamo conto che il quadro finale non è dei più rosei.

Non è comunque tutto da buttare.
Visto nell’ottica di “giochino scaricabile” questo Alan Wake è comunque un titolo ben più che valido.
E’ vero infatti che il backtracking è piuttosto invasivo, ma è anche vero che l’avventura dura tre ore scarse e che le location non sono abnormi, quindi non si fa in tempo a iniziare a rompersi realmente le palle.
Stesso discorso per il gameplay, che in tre ore non riesce a risultare monotono. Anzi, tenta persino di buttare dentro pure qualche novità, introducendo nuove armi e nuovi nemici. Peccato solo che il tutto sia compromesso da un livello di difficoltà della campagna veramente troppo basso e che la sfida sia confinata unicamente alla modalità arcade.
La storia poi è valida e contribuisce a rendere questo titolo imprescindibile per chi ha amato l’episodio originale.
E poi c’è la colonna sonora, che è sempre a dir poco fantastica.

Insomma, se si è fan di Alan Wake, American Nightmare è un gioco tutto sommato consigliato.
Solo bisogna tenere conto del fatto che si tratta di un esperimento non del tutto riuscito, assolutamente non in grado di giocarsela con il primo capitolo o con i suoi splendidi DLC (che, ricordiamolo, sono anche meglio del gioco stesso).
In ogni caso aspettiamo pazientemente, sono convinto che con il vero Alan Wake 2 Remedy saprà tirar fuori un giocone.

Postilla:
Il primo Alan Wake l’avevo giocato all’epoca della sua uscita e, come magari ricorderete, mi aveva convinto tantissimo per quanto riguarda atmosfera e aspetto narrativo, ma mi aveva un pelo annoiato per quanto concerne il gameplay.
C’è da dire che Alan Wake è un gioco di cui oggi, a freddo, ricordo quasi solamente i pregi, tanto è vero che rileggendo la recensione che avevo scritto nel Maggio 2010 mi sono abbastanza stupito di quanto fossi stato severo. Quindi insomma, probabile che se lo rigiocassi adesso mi piacerebbe molto più di quanto fece ai tempi.
E in effetti un po’ di voglia di rigiocarlo ce l’ho, motivo per cui credo che a breve mi sparerò la versione PC uscita recentemente su Steam che, da quanto ho sentito in giro, rulla tantissimo.

sabato 3 marzo 2012

In Time

Girato da Andrew Niccol, In Time è un film tanto interessante nelle premesse quanto claudicante nella messa in atto.
Premessa: Niccol è stato il regista di “robetta” come Gattaca, The Truman Show e Lord of War, tutti film di un certo spessore che al sottoscritto sono piaciuti parecchio.
Intorno a In Time gravitavano dunque delle discrete aspettative, che purtroppo non sono state del tutto soddisfatte.

Un peccato, perché questo film parte bene, con un’idea originale e in grado di dar vita a un mondo distopico inquietante e discretamente affascinante.
Nel mondo di In Time, infatti, si smette di invecchiare a venticinque anni.
L’inghippo sta nel fatto che, raggiunto il quarto di secolo, sul nostro avambraccio compare una sorta display con un conto alla rovescia di un anno. Una volta che “l’orologio” arriva a zero si muore, a meno che non si sia provveduto ad incrementare anticipatamente il tempo a disposizione.
In In Time, infatti, il tempo ha sostituito il denaro come valuta principale.
Lavorando, per fare un esempio, si viene pagati in ore che vanno a sommarsi al tempo residuo sul nostro orologio. Qualsiasi altra cosa o servizio ha un costo in termini di tempo. Per prendere l’autobus bisognerà sacrificare un’ora di vita, per mangiare pure, e così via.
Di conseguenza, in un sistema del genere, i ricchi riescono a vivere praticamente in eterno, mentre i poveri vivono alla giornata, campando di stenti e, spesso, con meno di un giorno di vita a disposizione.

Inutile negare che una premessa narrativa simile sia intrigante, e infatti tutta la prima parte di In Time è effettivamente piuttosto fica.
La realtà distopica con cui si trova a fare i conti il protagonista (Justin Timberlake) è dipinta egregiamente.
Il senso di precarietà c’è, l’atmosfera da regime totalitario pure. E c’è Olivia Wilde che insomma, è sempre un bel vedere.
Tutto funziona come dovrebbe, anche se in effetti la monotonia dei dialoghi e la mancanza di un guizzo di regia che sia uno contribuiscono a far scattare il campanello d’allarme.
I problemi, infatti, arrivano dopo.
Nella sua seconda parte In Time assume l’aspetto di un thriller e in breve tempo ci si ritrova a guardare una sorta di Robin Hood in salsa 1984 che mi verrebbe da definire in un solo modo: piatto.

In Time non è brutto, intendiamoci, è comunque un discreto film di fantascienza capace di intrattenere.
E’ solo che, come ho detto all’inizio della recensione, il suo sviluppo non è all’altezza dell’idea che ne sta alla base.
Idea che, mi preme ribadirlo, è eccezionale e avrebbe meritato un film di tutt’altra pasta, con una sceneggiatura più interessante e, magari, più coraggiosa.
Occasione sprecata, peccato.

giovedì 1 marzo 2012

Uncharted: l'abisso d'oro

E via che si parte con la prima recensione di un gioco per PS Vita!
Diciamo subito che come punto d’inizio non c’è male.

Uncharted è sicuramente il titolo graficamente più impressionante disponibile per la neonata console Sony.
Chiaramente siamo lontanissimi dagli standard visivi settati dagli episodi maggiori usciti su PS3, ma L’abisso d’oro fa comunque la sua porca figura.
Vedere girare una roba del genere su una console portatile è veramente impressionante e lascia presagire grandissime cose per il futuro di questo nuovo handheld.
Non mancano alcune magagne, certo. C'è un po’ di aliasing di troppo e il fuoco ha un'inspiegabile resa pixellosa, ma sono difettucci minori, che non pregiudicano la qualità visiva del titolo.

Per quanto riguarda il gioco vero e proprio, bè, è il buon vecchio Uncharted.
Azione serrata, tanti momenti wow e i soliti ottimi dialoghi che caratterizzano la serie. Questi ultimi si fanno apprezzare in particolar modo dalla metà del gioco in poi, quando entra in scena un certo personaggio già visto nei giochi PS3 (personaggio che, tra parentesi, in questo capitolo temevo non ci fosse, quindi vederlo è stata una graditissima sorpresa).
I difetti de L’abisso d’oro sono tutti riconducibili al fatto che non è e non vuole essere uno dei capitoli principali della serie e, di conseguenza, risulta un po’ “leggerino” al palato di chi, come il sottoscritto, arriva da due tornate di gioco goduriosissime al terzo episodio delle avventure di Nathan Drake.

Giocando si percepisce che questo titolo non è stato sviluppato dai Naughty Dog e che, fondamentalmente, si tratta di uno spin-off che non ci prova neanche a competere con Unchy 2 e 3.
Mancano ad esempio completamente i set-piece che abbiamo imparato ad amare negli episodi per PS3, qui non c’è nulla di lontanamente paragonabile alla nave di Uncharted 3, per dire.

Tuttavia non ci si può proprio lamentare, perché nel complesso L’abisso d’oro rimane pur sempre un ottimo gioco che, su console portatile, non conosce rivali nel suo genere.
E’ un titolo d’avventura divertentissimo, con un ottimo sistema di controllo e sorprendentemente longevo.
Bello poi il modo in cui sfrutta tutte le funzioni di Vita, dai sensori di movimento al touch pad posteriore. Spesso si tratta di fare robe marginali, come risolvere enigmi roteando oggetti o fare calchi sfregando il dito sul touch screen, ma sono comunque aggiunte gradite.

In definitiva Uncharted: l’Abisso d’oro svolge benissimo il suo compito e riesce ad essere quello che Ridge Racer fu per PSP.
E' un titolo capace di dimostrare che PS Vita è una console in grado di offrire una grafica di alto livello, unita a un tipo di esperienza videoludica che fino ad oggi era possibile solo ed esclusivamente su console casalinga.
Si poteva fare qualcosina di più?
Bè, sì, volendo ci sarebbero ampi margini di miglioramento, del resto si sta parlando pur sempre di un gioco di lancio e sarebbe anche strano se non ce ne fossero.
Però, nonostante questo, che sballo avere tra le mani un Uncharted portatile!