sabato 3 marzo 2012

In Time

Girato da Andrew Niccol, In Time è un film tanto interessante nelle premesse quanto claudicante nella messa in atto.
Premessa: Niccol è stato il regista di “robetta” come Gattaca, The Truman Show e Lord of War, tutti film di un certo spessore che al sottoscritto sono piaciuti parecchio.
Intorno a In Time gravitavano dunque delle discrete aspettative, che purtroppo non sono state del tutto soddisfatte.

Un peccato, perché questo film parte bene, con un’idea originale e in grado di dar vita a un mondo distopico inquietante e discretamente affascinante.
Nel mondo di In Time, infatti, si smette di invecchiare a venticinque anni.
L’inghippo sta nel fatto che, raggiunto il quarto di secolo, sul nostro avambraccio compare una sorta display con un conto alla rovescia di un anno. Una volta che “l’orologio” arriva a zero si muore, a meno che non si sia provveduto ad incrementare anticipatamente il tempo a disposizione.
In In Time, infatti, il tempo ha sostituito il denaro come valuta principale.
Lavorando, per fare un esempio, si viene pagati in ore che vanno a sommarsi al tempo residuo sul nostro orologio. Qualsiasi altra cosa o servizio ha un costo in termini di tempo. Per prendere l’autobus bisognerà sacrificare un’ora di vita, per mangiare pure, e così via.
Di conseguenza, in un sistema del genere, i ricchi riescono a vivere praticamente in eterno, mentre i poveri vivono alla giornata, campando di stenti e, spesso, con meno di un giorno di vita a disposizione.

Inutile negare che una premessa narrativa simile sia intrigante, e infatti tutta la prima parte di In Time è effettivamente piuttosto fica.
La realtà distopica con cui si trova a fare i conti il protagonista (Justin Timberlake) è dipinta egregiamente.
Il senso di precarietà c’è, l’atmosfera da regime totalitario pure. E c’è Olivia Wilde che insomma, è sempre un bel vedere.
Tutto funziona come dovrebbe, anche se in effetti la monotonia dei dialoghi e la mancanza di un guizzo di regia che sia uno contribuiscono a far scattare il campanello d’allarme.
I problemi, infatti, arrivano dopo.
Nella sua seconda parte In Time assume l’aspetto di un thriller e in breve tempo ci si ritrova a guardare una sorta di Robin Hood in salsa 1984 che mi verrebbe da definire in un solo modo: piatto.

In Time non è brutto, intendiamoci, è comunque un discreto film di fantascienza capace di intrattenere.
E’ solo che, come ho detto all’inizio della recensione, il suo sviluppo non è all’altezza dell’idea che ne sta alla base.
Idea che, mi preme ribadirlo, è eccezionale e avrebbe meritato un film di tutt’altra pasta, con una sceneggiatura più interessante e, magari, più coraggiosa.
Occasione sprecata, peccato.

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