martedì 31 maggio 2011

Portal 2

La vicende che hanno portato alla genesi del primo Portal le conosciamo tutti.
Nato come gioco indie con il nome di Narbacular Drop, il progetto Portal è in seguito finito sotto l’ala protettrice di Valve, che lo ha trasformato in una sorta di spin-off della saga di Half-Life e lo ha inserito in quella meravigliosa collection che è l’Orange Box.

Nel 2007 il primo Portal mi aveva colpito tantissimo.
Durava poco, è vero, ma aveva tante di quelle idee da lasciarti stordito. Era geniale, un puzzle game in prima persona che richiedeva di ragionare come mai si era fatto prima.
E poi c’era quell’atmosfera così particolare, quel senso di abbandono, c’erano GlaDOS, il Companion Cube, Still Alive.
Un gioco breve, ma di un’intensità sconcertante.
E pensare che il tutto partiva da una singola e semplice idea che però si rivelava ben presto in grado di spalancare le porte a centinaia di possibilità in termini di gameplay: una pistola che sparava due portali comunicanti.
Le mie aspettative per il sequel, che stavolta prometteva di essere un gioco ancora più grosso e più longevo, erano quindi altissime.
Fortunatamente, la cara vecchia Valve le aspettative non le delude praticamente mai.

Portal 2 è infatti l’esaltazione totale del gameplay del primo episodio, che qui viene sviluppato, fatto maturare e arricchito. E attorno ad esso viene costruito un giocone di rara bellezza.
Portal sembra veramente un antipastino se confrontato a questo sequel. Anzi, sembra un titolo acerbo, un gioco che deve ancora esprimere tutto il suo enorme potenziale.

In questa sede, senza fare alcuno spoiler, vorrei veramente farvi comprendere perché Portal 2 è un capolavoro a tutto tondo, vorrei cercare di trasmettervi le emozioni che il titolo Valve mi ha regalato in due tornate di gioco.
E’ difficile, ma proviamoci.
Partiamo dall’inizio, parlando di uno dei più grossi pregi di questa avventura fantascientifica: il tasso di sfida.
Portal 2 è impegnativo il giusto. Non è mai frustrante e non richiede mai un'abilità manuale da giocatore hardcore (cosa che ogni tanto il prequel faceva).
La difficoltà è basata completamente sul ragionamento. Chiaramente spesso ci si trova di fronte ad enigmi che paiono rasentare l’impossibile ma, facendo lavorare la materia grigia e andandoci giù pesante con il pensiero laterale, arrivare a una soluzione non è mai così infattibile come appare all’inizio.
Bisogna solo avere la pazienza di mettersi lì, osservare con attenzione l’ambiente che ci circonda e capire il da farsi. E poi via, verso un nuovo enigma a base di portali.
Portal 2 non è difficile, è semplicemente un gioco che sprona il giocatore ad usare il cervello.

C’è un che di esaltante nel senso di progressione di Portal 2.
Una perfezione di forma e di sostanza che in un certo senso ricorda molto i migliori giochi Nintendo. E non è cosa da poco.
Ma questa perfezione non può dipendere unicamente dal bilanciamento della difficoltà.
Un gran gioco è fatto anche dalle idee che sa proporre. E in questo Portal 2 non ha eguali.
Per tutta la sua durata, infatti, introduce nuovi elementi che vanno a complicare le situazioni che il giocatore si trova ad affrontare e che espandono il concept di gioco in maniera impensabile.
Elementi attorno a cui, con ogni probabilità, si potrebbe addirittura sviluppare un gioco a sé. E qui scatta di nuovo il paragone coi giochi Nintendo, visto che di fatto è la medesima impressione che si prova davanti alle mille idee dei due Mario Galaxy.
Giocando a Portal 2 non ci si limita a rimanere stupiti di fronte a un magistrale level design o a sezioni di gioco particolarmente stimolanti. No, c’è molto di più, perché giocando a Portal 2 si riesce a percepire perfettamente la creatività e la fantasia di cui questo titolo è intriso fino al midollo.

Ma il bello è che Portal 2 non si ferma al puro gameplay.
C’è anche tutto il contorno, rappresentato in questo caso da una storia che, mi azzardo a dire, è una delle più belle e particolari che siano mai state raccontate da un videogioco.
La sensazione è quella di avere a che fare con una sorta di riuscitissimo ibrido tra un racconto di Isaac Asimov e un film Pixar.
Ma parlando di questo c’è il rischio di fare spoiler, quindi preferisco non entrare troppo nei dettagli.
Voglio però sottolineare come Portal 2 non conosca mai un attimo di stanca nemmeno per quanto riguarda la narrazione. Il ritmo è incalzante, i dialoghi sono brillanti e il gioco è pieno di colpi di scena che giungono sempre inaspettati.
Bello, bellissimo.
E i personaggi, doppiati da dio, sono qualcosa di indescrivibile. Wheatley è il mio nuovo idolo e una delle cose che voglio assolutamente fare prima di morire è andare a bermi una birra insieme a Stephen Merchant.
Portal 2, in sostanza, è un capolavoro anche nel suo comparto narrativo. E’ un gioco che “si sente”, che emoziona e che colpisce dall’incipit fino al finale. Che, tra parentesi, è letteralmente spaziale.

Per quanto mi riguarda, questo titolo è splendido in ogni suo aspetto.
Pure dal punto di vista tecnico si lascia apprezzare, considerando che in pratica sfrutta un motore grafico (il Source Engine) vecchio di sette anni e quindi più di tanto non si poteva fare. Ma anche qui Portal 2 fa di tutto per mascherare i suoi limiti tecnici con una serie di tocchi di classe grandiosi, come le stanze che si modificano e si risistemano all’arrivo del giocatore.

Spero con tutto il cuore che questo titolo venga ricordato come una pietra miliare nella storia dei videogiochi.
In ogni caso, anche se così non fosse, personalmente ricorderò Portal 2 come uno dei giochi più appassionanti su cui io abbia mai messo mano.
Questo mi basta.

domenica 29 maggio 2011

giovedì 26 maggio 2011

Dead or Alive Dimensions



Ecco a voi la videorecensione di Dead or Alive Dimensions!

mercoledì 25 maggio 2011

Game of Thrones: il fantasy rulla ancora

E’ da un bel pezzo che non parlo di serie tv.
All’incirca un anno fa Lost finiva, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore di noi nerd.
Bisogna dire che con la fine di Lost sono diminuiti i mal di testa dovuti alle pippe mentali che ci sparavamo quasi quotidianamente, ma questo è un dettaglio irrilevante.
La verità è che Lost ci manca.
Ci manca John Locke, ci manca Jacob, ci mancano persino Paulo e Nikki, pensate un po’ come stiamo messi male.

Ovviamente negli ultimi dodici mesi ci siamo messi alla ricerca di una serie che potesse fare da surrogato.
Personalmente mi ero innamorato di Stargate Universe, che non sarà stato privo di difetti, ma il fatto che in un certo senso ricordasse una specie di Lost nello spazio me l’aveva reso subito simpatico. E poi tra i protagonisti c’era Robert Carlyle, che è indiscutibilmente un figo.
Sfortunatamente SGU è stato cancellato e, perdonate il gioco di parole, non sapremo mai quale sarà il destino dell’equipaggio della Destiny.

Ma non c’è stato solo Stargate Universe, di roba ne abbiam vista tanta.
V (che nella seconda stagione è migliorato molto), The Walking Dead, Big Bang Theory e, ora, Game of Thrones.

Game of Thrones è una serie HBO tratta dai romanzi de “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” scritti da George R.R. Martin.
E, diciamolo subito senza girarci intorno, caga letteralmente in testa a tutto quello che ho visto nel periodo post-Lost.
Il genere di appartenenza è il fantasy, anche se bisogna dire che l’ambientazione si distacca in maniera abbastanza marcata dal fantasy classico alla Tolkien.
Game of Thrones ha un taglio decisamente più realistico. L’impressione è quella di avere a che fare con una sorta di medioevo alternativo. Della magia, per dire, non vi è alcuna traccia e, almeno per il momento, le vicende narrate hanno sempre un che di verosimile.
Certo, non mancano elementi tipicamente fantastici come i draghi, ma non aspettatevi di vedere gente che spara palle di fuoco dalle mani e anelli del potere che rendono invisibili.

In realtà di azione in Game of Thrones non ce n’è neanche così tanta (anche se chi ha letto i libri dice che in futuro non mancherà).
La cosa intrigante di questa serie, infatti, non sono le “spadate”, ma le relazioni e i rapporti tra i vari personaggi.
Vuoi perché i dialoghi sono ottimi, vuoi perché gli attori sono eccezionali (Sean Bean alias Boromir, mica cazzi) e vuoi perché la recitazione è SEMPRE ad altissimi livelli, Game of Thrones colpisce soprattutto per gli intrighi, i complotti, i tradimenti e i colpi di scena di cui ogni puntata è infarcita.
Ciò che ne consegue è che dopo aver visto un paio di episodi ci si rende conto di essere rimasti letteralmente invischiati in questo universo fantasy assolutamente appassionante e coerente.
Ci si ritrova ad adorare alcuni personaggi (ciao Tyrion) e a volerne morti altri (ciao Joffrey).
Per farla breve, guardare Game of Thrones è interessante come poche altre cose.
Puntatone da un'ora scorrono via lisce come se durassero venti minuti. Tra l'altro è incredibile che quasi tutte finiscano con dei cliffangeroni spettacolosi in grado di lasciarti con un'acquolina in bocca allucinante.

Poi va bè, non mancano le cose ignoranti che piacciono tanto a noi.
C’è un alto tasso di violenza (vedere gente che decapita cavalli fa sempre un certo effetto), è pieno di topa e, soprattutto, si tromba tanto.
Davvero, praticamente in ogni episodio c’è una scena di sesso con tanto di nudo integrale.
E anche i dialoghi non vanno tanto per il sottile in questo senso, risultando spesso crudi e senza troppi peli sulla lingua.
Pochi cazzi, serie televisiva del momento che, tra le altre cose, incrementa ulteriormente una mia convinzione: i telefilm come li fa la HBO non li fa veramente nessuno.

In foto:
Signori, fate un bell’inchino: Tyrion Lannister!
Grandissimo personaggio e, soprattutto, un esempio da seguire per noi uomini virili! Lo mettiamo lassù, nell’Olimpo della gente col cazzoduro, insieme a Clint Eastwood.

martedì 24 maggio 2011

L.A. Noire: le impressioni iniziali sono promettenti. E di brutto anche.

Ho finalmente iniziato il nuovo titolo Rockstar.
Un gioco che, per chi non lo sapesse, si propone di far vivere al giocatore un’esperienza videoludica che si distacchi radicalmente dal semplice pattern “vai in giro, spara ai cattivi, completa la missione”.
L.A. Noire è infatti un gioco cinematografico che in un certo senso ricorda maggiormente roba tipo Heavy Rain piuttosto che un canonico free roaming made in Rockstar.
Diciamo che ci troviamo di fronte a una specie di riuscitissimo ibrido tra il discusso gioco di David Cage, GTA IV e un’avventura punta e clicca.

In L.A. Noire interpreteremo Cole Phelps, un poliziotto che dovrà far carriera nella Los Angeles degli anni 40.
Inizialmente saremo semplicemente dei banali piedipiatti di pattuglia, ma dopo poco tempo le nostre capacità verranno notate e saremo promossi, diventando dei veri e propri detective dell’ LAPD.
Saremo così chiamati a risolvere casi su casi e per farlo dovremo fare esattamente quello che farebbe un detective di un film noir: dovremo setacciare le scene del crimine, raccogliere prove e indizi, interrogare i testimoni (stando attenti che non raccontino palle) e scovare i colpevoli tra i principali sospettati.
Ogni tanto ci scapperà una sparatoria, una scazzottata o un inseguimento, ma si tratta di roba marginale, perché il vero cuore del gioco risiede nella parte investigativa.

Insomma, L.A. Noire è un titolo abbastanza atipico per i tempi che corrono e, dopo un paio d’ore di gioco, la mia impressione è che sia un’enorme figata.
E’ vero, amo i videogiochi e il puro gameplay (non per altro venero Super Meat Boy), ma adoro anche il cinema e proprio per questo L.A. Noire non può fare a meno di eccitarmi.
Calarsi nei panni di un detective e risolvere casi è, in una parola, appagante.
Le fasi di interrogatorio sono poi a dir poco esaltanti. Capire se un personaggio mente o dice il vero semplicemente cercando di decifrare le sue espressioni è qualcosa che, credo, in un videogioco non si era mai vista prima d’ora.
Tizio si guarda intorno nervoso ed evita di incrociare il nostro sguardo? Okkei, racconta palle.
Caio ci fissa nelle palle degli occhi con espressione ansiosa e ci parla con voce rotta e affannata? Mmmh, forse alla fine ci sta dicendo la verità.
Il coinvolgimento emotivo è ai massimi livelli, davvero.
E una volta che si scova il bandolo della matassa, tirando fuori una prova schiacciante e inchiodando lo stronzo che aveva provato a intortarci con una storiella da quattro soldi, la soddisfazione è tanta.
Veramente tanta.

A questo aggiungiamo i soliti pregi storici dei titoli Rockstar.
Grande atmosfera, dialoghi scritti benissimo, ottima recitazione.
E’ vero, ci ho giocato poco e magari al cinquantaquattresimo caso il gameplay di L.A. Noire avrà iniziato a rompermi le palle, ma a caldo dico che ci troviamo di fronte a uno dei candidati per il titolo di gioco dell’anno.
Insieme a Portal 2, chiaro.

In foto, un piccolissimo spoiler:
il primo caso “serio” che ho risolto come detective dell’LAPD. Al contrario di quanto si potrebbe pensare non c’è stato alcun morto ammazzato. Il colpevole aveva organizzato il suo finto omicidio con l'aiuto di un complice, per poter lasciare la propria moglie senza troppi casini e scappare a Seattle dalla sua amante.
Il sangue che vedete è quello di un maiale sgozzato per l’occasione, nel vano tentativo di rendere l’inganno più credibile.

mercoledì 18 maggio 2011

Superbrothers: Sword & Sworcery EP

Ogni tanto, quando gli dei del videogioco sono propizi, escono giochi che non sono soltanto “giochi”, ma vere e proprie esperienze interattive.
Queste esperienze sono robe strane. Ti si avvinghiano, ti entrano dentro e diventano indimenticabili.
Sono un po’ come delle belle opere d’arte: le vedi (in questo caso le giochi) e ti rendi conto di essere al cospetto di qualcosa di solenne e importante.

In un mondo fatto di FPS tutti uguali e di gente che ha crisi di astinenza perché non può giocare online per un mese, titoli del genere sono sempre più una rarità.
Ma fortunatamente, seppur pochi, esistono: Rez, Shadow of the Colossus e, da oggi, Superbrothers: Sword & Sworcery EP per iOS.

Sword & Sworcery è un’avventura in cui pixel art e musica si amalgamano andando a creare un’opera videoludica dal valore artistico non indifferente.
E’ un gioco che trascende i generi e che, pur ispirandosi a svariate pietre miliari della storia dei videogiochi, risulta unico e diverso da tutto quanto io abbia provato finora.

Giocando a Sword & Sworcery in cuffia ci si perde e ci si estrania totalmente dal reale.
iPad alla mano, ci si ritrova catapultati in un mondo fatto di pixel, scandito da un accompagnamento musicale che sembra riflettere i nostri stati d’animo più intimi.
Nella poesia visiva e acustica che ci circonda ci ritroveremo terrorizzati mentre siamo inseguiti da uno spettro, sereni e in pace con noi stessi mentre invochiamo degli spiriti in un mondo onirico ed esaltati come eroi leggendari dopo aver sconfitto in un’epica battaglia una forma geometrica divina.

A narrare le nostre gesta ci penseranno dei dialoghi scritti benissimo (purtroppo in un inglese piuttosto aulico e dalla comprensione non semplicissima) che, volendo, potranno essere tweettati in tempo reale.

E una volta che avremo completato la nostra avventura, quando la nostra esperienza sarà conclusa e ci renderemo conto di essere seduti sul divano con un tablet fra le mani e degli auricolari nelle orecchie, avremo la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di irripetibile.
Sono solo giochini, è vero, ma ogni tanto qualche emozione grossa te la danno.
Ed è bello quando accade.

Per chi fosse interessato, la colonna sonora di Superbrothers: Sword & Sworcery EP è reperibile su iTunes al prezzo di 7,99 €.
Chiaramente ne consiglio caldamente l’acquisto.
Il gioco invece costa 3,99 € in versione universale (iPad, iPod Touch e iPhone) e 2,39 € in versione micro (solo iPhone e iPod Touch).

lunedì 16 maggio 2011

Fast & Furious 5

Ridare lustro a un brand che ormai sembrava aver detto tutto quello che aveva da dire non è sempre facile.
Spesso è già ostico cagare fuori un singolo sequel decente, figuriamoci quindi quanto possa essere incasinato estrarre dal cilindro un quinto episodio che non si riveli una colossale minchiata.

Tuttavia, un po’ inaspettatamente, il quinto capitolo di Fast & Furious si rivela un discreto film d’azione che, ancora più inaspettatamente, possiede tutte le carte in regola per rilanciare il brand di cui fa parte.

Ma facciamo un passo indietro.
La saga di Fast & Furious è sempre stata famosa per una cosa: le macchine tamarre con cui il sottoscritto si vergognerebbe ad andare in giro.
No, sul serio, io capisco che un sedicenne possa avere un’erezione nel vedere una Skyline elaborata con sotto un marmittozzo di dimensioni bibliche e resa fosforescente da mille neon color pistacchio, ma se andate verso i trent’anni e sognate di avere una macchina del genere vuol dire che avete dei seri problemi*.
Comunque sia, stiamo divagando.
Fast & Furious, dicevo, è sempre stato famoso per essere un film “sulle macchine”.
Tendenzialmente, a meno che non foste dei truzzoni particolarmente scimmiati per i motori, non avevate alcun motivo per perdere tempo a vedere film del genere, tanto valeva buttarsi su film casinari più interessanti e divertenti.
Questo almeno valeva fino allo scorso episodio**.
Fast & Furious 5 riesce infatti nel difficile compito di ridare vita a una saga vecchia, stanca e fuori forma, iniettandole una bella dose di adrenalina degna del miglior cinema action fracassone.
La cosa bella di questo film, infatti, è proprio il suo essere godibilissimo anche da chi è totalmente immune al fascino delle automobili e cerca semplicemente un buon action movie che lo intrattenga per un paio d’ore.
Intendiamoci, le macchine ci sono sempre e giocano spesso un ruolo centrale, quello che stavolta manca quasi del tutto è quel “feticismo” per i motori che si respirava guardando i vecchi film.
Fast & Furious 5 è infatti meno film di auto tamarre e più film d’azione duro e puro, con tanto di sparatorie, scazzottate e persino un paio di sequenze letteralmente rubate a Modern Warfare 2.

A ricordarci che quello che stiamo guardando è pur sempre un Fast & Furious ci pensano gli inseguimenti e le scene di delirio stradale (in questo caso anche ferroviario), che non sono mai state così spettacolari, sopra le righe e irrispettose delle leggi della fisica.
Il tutto è incredibilmente divertente e godibile.
Senza contare che persino il cast risulta ottimo per quello che deve fare.
Vin Diesel è sempre un grandissimo e come al solito buca lo schermo. E poi ammettiamolo, oramai Toretto è il suo personaggio icona (peccato che Riddick sia andato in vacca, poteva essere il Rambo fantascientifico degli anni 2000).
Di The Rock non parliamone nemmeno, per il ruolo che ricopre è semplicemente perfetto e stop.

Fast & Furious 5, per quanto mi riguarda, non solo è un ottimo sequel, ma è anche di gran lunga il miglior capitolo della serie.
E’ un film che vuole lasciarsi alle spalle le corse clandestine e le cagatine zarre per diventare finalmente un film d’azione dignitoso, capace di giocarsela ad armi pari con i mostri sacri del genere usciti negli ultimi mesi (e mi riferisco in particolare a The Expendables e ad A-Team).
Figo dai, e stai a vedere che il sesto sarà ancora meglio***.

Note a margine:
* I casi sono due: o non avete gusto estetico o ce l’avete piccolo. Naturalmente una cosa non esclude l’altra.
** che pure, da quanto ricordo, tentava un po' la virata action, ma potrei sbagliarmi dato che l’ho visto solo una volta e non mi ricordo quasi un cazzo. E in ogni caso non mi pare che i risultati fossero esaltanti come quelli di Fast 5, quindi chissenefrega.
*** SPOILER: anche se vabbè, il ritorno di Michelle Rodriguez non è che mi esalti troppo. Già meglio Eva Mendez. Il top sarebbe avere un Fast & Furious con Olivia Wilde e Megan Fox, ma, si sa, chi troppo vuole nulla stringe.