sabato 22 ottobre 2011

Super

Dopo l’ottimo Kick-Ass, ecco un altro film che si diverte a fare il verso al mondo dei supereroi, calando un protagonista improbabile nei panni di un vigilante in costume ancora più improbabile.
Nel film di Matthew Vaughn questo eroe improvvisato era Dave, il solito studente un po’ sfigato che decide, senza alcuna motivazione valida, di provare a indossare una calzamaglia per combattere il crimine.
In Super, invece, le premesse sono piuttosto diverse.
Qui abbiamo Frank, un uomo sulla quarantina non troppo sveglio che, dopo che la moglie gli viene portata via da uno spacciatore, si immagina di avere una visione in cui Dio in persona gli affida la missione di combattere il male.
Prende così il via un film sbroccatissimo, a tratti disturbante e decisamente violento.

Super è una pellicola originale e divertente, sarebbe un delitto scambiarlo per un semplice clone meno ispirato di Kick-Ass e passare oltre.
Sì, perché Super si rivela ben presto una rilettura piuttosto interessante dell’argomento “persone comuni che si improvvisano supereroi”.
Frank, alias Saetta Purpurea, è un pazzo squilibrato che se ne va in giro a spaccare le teste di tutti quelli che ritiene malvagi, la sua spalla Saettina (interpretata da una Ellen Page in formissima) è se possibile ancora più fuori di melone di lui.
Supereroi con superproblemi (mentali).

Super è un lungo alternarsi di scene violente e grottesche, è un film strano, difficile da definire, che riesce a non annoiare mai
Insomma, vale la pena dargli un’occhiata. Fra l’altro, pur rimanendo sempre un film grezzo, rude e politicamente scorrettissimo, riesce ad essere meno “cazzatona stupidotta” di quanto si potrebbe credere.
E poi c’è Kevin Bacon che interprata il villain, come in X-Men First Class.
Quindi è win a priori.

Durante la visione di Super sono stato per la prima volta al cinema da solo. Non nel senso che ci sono andato da solo (quella è una cosa che faccio spesso, soprattutto al Sabato pomeriggio, quando decido di andarci all’ultimo momento ed è troppo tardi per avvisare qualche amico), ma proprio che in sala ero l’unico presente!

mercoledì 5 ottobre 2011

Ico

L’uscita su PS3 della collection Ico & Shadow of the Colossus Classics HD è stata un’occasione ghiotta per sopperire a una mia gravissima lacuna in ambito videoludico: non aver mai giocato a Ico!
Essendomi già spolpato Shadow of the Colossus avevo una vaga idea di cosa aspettarmi dal primo titolo PS2 di Fumito Ueda. Senza contare che, in questi dieci anni, di Ico ne avevo letto e sentito parlare in lungo e in largo più o meno da qualsiasi essere senziente in grado di impugnare un pad.
Avevo insomma delle aspettative ben precise, che fortunatamente non sono state disattese.
Ico è il capolavoro che mi era stato più volte descritto e ammetto di essere stato un folle a non averlo giocato all’epoca della sua uscita. Ma d’altronde in quel periodo mi lasciai sfuggire anche roba come Rez, pensate quanto mi rincoglionivano i pomeriggi passati sulle versioni di greco!

Il gioco di Ueda, gustato nel 2011, conserva gli stessi pregi che ai tempi della sua commercializzazione lo consacrarono come capolavoro.
Ico è un gioco fatto di atmosfera, di scorci suggestivi, di silenzi, di sensazioni. Tutte cose che non risentono del peso del tempo.
Vagare per il castello in cui è ambientato tenendo Yorda per mano è ancora un’esperienza ipnotizzante e poetica.
Ecco, Ico è pura poesia videoludica, probabilmente non esiste un modo più appropriato per definire questo titolo.
Dal punto di vista grafico questa edizione rimasterizzata in alta definizione esalta l'aspetto della versione originale e contribuisce a rendere ancora più gradevole un videogioco che, probabilmente, giocato oggi in edizione PS2 sarebbe visivamente un po’ fastidioso.

Dove Ico appare purtroppo un po’ vecchiotto e limitato è nelle sue meccaniche di gioco e nella struttura degli enigmi.
Le sue fasi platform nel 2001 potevano anche essere accettabili, ma oggi appaiono decisamente legnose.
Gli enigmi proposti, inoltre, sono nella maggior parte dei casi troppo facilotti e noiosi (e mi azzardo a dire che probabilmente questo difetto si sentiva anche dieci anni fa).
Si tratta comunque di cercare il pelo nell’uovo, perché nel complesso Ico è un gioco straordinario, ma d’altronde quando si analizza un’opera d’arte i difetti si notano ancora di più.
Soprattutto se di recente abbiamo giocato a titoli che ci hanno sconvolto sia per quanto riguarda l’atmosfera, sia per quanto riguarda la genialità dei loro puzzle.
Sì, sto parlando di Portal 2, tanto per cambiare.

Per carità, lo so che è un po’ da stronzi confrontare il titolo Valve con Ico, in fondo stiamo paragonando due giochi diversissimi tra loro e usciti ad ere geologiche di distanza l’uno dall’altro, ma stringi stringi il concetto che voglio sottolineare è questo: Portal 2 vince anche dove altri titoli che puntano tantissimo sul loro lato artistico e sulla loro atmosfera falliscono. Vale a dire nell’essere un videogioco divertente.
Del resto lo avevo detto che Portal 2 segnava nuovi standard mai toccati prima da un’opera videoludica per quanto riguarda la perfetta commistione tra atmosfera, narrazione, gameplay e puzzle solving. Quindi insomma, fare confronti con tutto quello che è venuto prima viene anche un po’ naturale.

Che poi, a voler ben vedere, non servirebbe tirare in ballo lo spin-off di Half-Life per notare i limiti ludici di Ico, basterebbe gettare uno sguardo all’altro gioco contenuto in questa collection, quello Shadow of the Colossus che mantiene inalterata la poesia del suo predecessore e la congiunge anzi a una giocabilità ben più interessante e intrigante.
Penso sia innegabile che abbattere uno qualsiasi dei colossi del secondo titolo di Ueda uscito per PS2 sia un’esperienza ben più corposa e appagante rispetto al risolvere uno qualsiasi degli enigmi di Ico.
Ed è proprio l’evoluzione in termini qualitativi che c’è stata tra Ico e Shadow of the Colossus che mi accende un’attesa spasmodica per The Last Guardian.
Che, si spera, riuscirà ad arrivare nei negozi prima o poi.