lunedì 26 giugno 2017

ARMS


ARMS è uno dei titoli più chiacchierati di questi ultimi mesi. Normale che una nuova IP della casa di Kyoto desti clamore e curiosità, ma qui la faccenda è forse anche più interessante del solito.
Picchiaduro singolare in cui i lottatori sono dotati di braccia allungabili, ARMS pone una forte enfasi sulla propria componente online, evidenziando, come già aveva fatto Splatoon, l'attenzione della grande N per la scena degli eSport. Come primo gioco hardcore pensato e sviluppato con in mente le caratteristiche di Switch, rappresenta anche un banco di prova importante per una console che, pur avendoci già dato diverse soddisfazioni, ha finora fatto un po' troppo affidamento sui porting (lo stesso Breath of the Wild è pur sempre un titolo uscito anche su Wii U).

ARMS, come tutti i migliori giochi Nintendo, colpisce immediatamente per la sua veste grafica incredibilmente azzeccata. È un beat 'em up stilosissimo e allegro, che investe il giocatore con i suoi colori accesi e la sua direzione artistica di gran classe. Viene facile innamorarsi di un character design che ispira da subito simpatia, proponendoci personaggi bizzarri e dai tratti ben riconoscibili (colpo di genio le braccia "a DNA" di Helix, un tuffo al cuore i capelli bayonettosi di Twintelle).
Gradevoli anche le arene, essenziali ma funzionali al gameplay.


Come si diceva, ARMS è un gioco ideato per sfruttare le caratteristiche del nuovo hardware Nintendo, di conseguenza propone svariati sistemi di controllo: nella mia prova sono passato senza soluzione di continuità dal motion control con i due Joy-Con in ciascuna mano alla modalità portatile con i controller inseriti nella console. Premettendo che usando i tasti si guadagna qualcosa in precisione, mi sono trovato bene in entrambi i casi (al netto di alcune cose che mi piacciono poco, come l'esecuzione della parata, che risulta scomoda sia tramite la pressione dello stick analogico sinistro, sia utilizzando i sensori di movimento).

In ogni caso, a prescindere dal modo in cui si sceglie di giocare, ARMS è un picchiaduro molto più tecnico di quanto ci si potrebbe aspettare. Prendere dimestichezza con il sistema di combattimento ideato da Nintendo non sarà affatto una passeggiata. Ci vorrà del tempo per diventare bravi e padroneggiare in modo accettabile i vari personaggi: in ARMS è importante saper saltare, parare e schivare, non solo tirar cazzotti. Menare le mani, comunque, richiede qui un minimo di impegno tattico: la capacità di dare un effetto ai pugni dà spesso luogo a combattimenti tesi e ragionati in cui è importantissimo studiare i movimenti dell'avversario e capire in che modo anticiparlo.
Il gioco, inoltre, prevede diverse variabili. In fondo stiamo parlando dell'ultima follia partorita da Nintendo, non di un qualsiasi titolo di boxe.


Ognuno dei personaggi selezionabili possiede determinate peculiarità. Ribbon Girl, ad esempio, può eseguire un doppio salto; Master Mummy compensa la lentezza con la resistenza e la capacità di rigenerare la propria salute mentre tiene la guardia alzata; Twintelle è in grado di rallentare i colpi dei nemici. Cambiando lottatore, dunque, anche il gameplay varia in modo tutt'altro che marginale.

Non si combatte usando solo guantoni. Vi sono diversi tipi di armi che modificano anche radicalmente gli attacchi: teste di drago che sputano raggi infuocati, missili, martelli, boomerang e tante altre chincaglierie offensive che, in virtù delle loro differenze balistiche, si rivelano più o meno adatte al nostro stile di combattimento.
Le armi possono essere sbloccate con la valuta del gioco e utilizzate per personalizzare il nostro lottatore a seconda delle esigenze: è infatti possibile combinarle tra loro, mettendo ad esempio un guantone nella mano sinistra e un serpente frusta in quella destra.
Infine, utilizzando la parata o tenendo premuto il tasto della schivata, i pugni possono essere caricati con un effetto elementale che ne incrementerà i danni.

Imparare a gestire tutto questo, districandosi anche tra super combo, proiezioni ed item che compaiono sul campo di battaglia, richiederà impegno e allenamento.


Per prendere la mano con un gameplay tanto originale sarebbe stato il massimo avere a disposizione un single player massiccio e ricco di contenuti.
ARMS è però abbastanza spoglio da questo punto di vista, dato che propone solo incontri versus e il classico Arcade Mode, che qui viene chiamato Gran Torneo e, nel tentativo di offrire un po' di varietà, alterna scontri uno contro uno ad alcuni minigiochi (versioni a tema di pallavolo, basket e tiro a segno).
Questo Gran Torneo è senza dubbio una modalità importante, se non altro perché richiede di essere completato con almeno un personaggio al livello di difficoltà medio (il 4) per sbloccare le partite classificate online. Compito tutt'altro che facile, visto che il tasso di sfida è parecchio elevato.
Il lato positivo è che vi farete le ossa in vista degli incontri multiplayer ufficiali (in cui personalmente ho preso una marea di legnate).

È comunque possibile buttarsi nella mischia fin da subito grazie alle amichevoli. In queste, dopo essere entrati in una lobby con altri giocatori, potrete lanciarvi sul ring senza il bisogno di superare una fase di qualificazione offline, prendendo immediatamente parte a match classici e a minigiochi.
Nulla da segnalare sul netcode: un burro. Funziona tutto alla perfezione, non ho mai trovato lag e non sono mai incappato in disconnessioni fastidiose.

Nintendo, insomma, fa centro ancora una volta, mettendosi in gioco con una nuova IP a suo modo coraggiosa che, per fortuna, non delude le aspettative.
ARMS trasuda carisma da ogni texture e, soprattutto, è divertente e profondo.
Non è un titolo che si farà apprezzare da tutti, e qualche contenuto in più non avrebbe certo guastato il pacchetto, ma come esordio non c'è male.
Sarà fra l'altro interessante vedere in che modo il gioco verrà ampliato nei prossimi mesi, tramite aggiornamenti ed inevitabili DLC.

lunedì 19 giugno 2017

Farpoint

La realtà virtuale è riuscita a stupirmi e a convincermi sin dalla prima volta che ho indossato PlayStation VR e mi sono immerso negli scenari di Rez Infinite. Mi è risultato immediatamente chiaro che stavo sperimentando una tecnologia scomoda e acerba ma dalle potenzialità sconfinate; un'innovazione in grado di portare i videogiochi in territori inesplorati al prezzo di qualche limite tecnico, un po' come era accaduto quando si passò dagli sprite di SNES e Mega Drive ai poligoni delle console a 32 bit.

L'unico aspetto negativo di questi primi mesi di VR risiedeva nell'offerta limitata dei giochi disponibili. Offerta basata principalmente su esperienze interattive intense ma brevissime, parecchie demo tecniche e titoli dall'approccio arcade.
Intendiamoci, per me non è stato un grosso problema: ho goduto tantissimo calandomi nei panni dell'uomo pipistrello in Batman Arkham VR, da amante degli arcade frenetici mi sono divertito un mondo con Thumper e, da buon fanatico di Star Wars, ho rigiocato la missione VR di Battlefront una decina di volte. È tuttavia innegabile che la realtà virtuale fatichi ancora ad offrire esperienze di gioco capaci di competere con le maggiori produzioni tripla A e a solleticare i palati di chi vorrebbe indossare il visore e spararsi un GdR di duecento ore.
A risollevare la situazione ci ha pensato l'ottimo Resident Evil 7, anche se onestamente, dopo averlo provato in demo, non ho avuto il coraggio di calarmi fino in fondo nei suoi orrori e ho preferito giocarlo in modo classico.
Il mese scorso invece è arrivato Farpoint, con la sua ambientazione fantascientifica decisamente più alla portata delle mie coronarie rispetto alla villa dei Baker.

Il titolo sviluppato da Impulse Gear è il primo gioco a traghettare in modo convincente il genere degli sparatutto in prima persona su PlayStation VR.
A determinare la grandiosità di questo FPS è la periferica con cui viene venduto in bundle: l'Aim Controller è un fucile di plastica che funziona alla maniera di un Move e contribuisce da solo a rendere questo sparatutto un'esperienza indimenticabile che svetta su tutti gli altri titoli pensati per la realtà virtuale di casa Sony.

Volendolo analizzare come un gioco normale, Farpoint si rivela essere poco più che un on rail shooter. Ci si può spostare liberamente tramite stick analogico, certo, ma non c'è molto da fare oltre a muoversi lungo livelli "corridoio", sparando a tutto ciò che compare sullo schermo (anzi, sulle lenti). Il gioco Impulse Gear è uno sparatutto adrenalinico e senza fronzoli in cui bisogna tenere costantemente il dito sul grilletto e non c'è assolutamente spazio per enigmi o trovate di gameplay originali.
Descritto così, Farpoint sembrerebbe oggettivamente trascurabile, ma ci pensano appunto PlayStation VR ed Aim Controller a cambiare le carte in tavola: il senso di immersione garantito dall'utilizzo combinato di visore e light gun è qualcosa di eccezionale.

Tramite il filtro della realtà virtuale, il fucile di plastica nelle nostre mani si trasforma in un'arma uscita da un film di fantascienza; un'arma che ci possiamo rigirare davanti agli occhi, ammirandola in tutta la sua fisicità fittizia e in ogni suo dettaglio. È una sensazione incredibile che viene ulteriormente amplificata nel momento in cui esplode l'azione e la canna del nostro mitragliatore inizia a vomitare proiettili sulle creature aliene che cercano di farci la pelle. Possiamo avvicinare il fucile d'assalto al visore e mirare attraverso il puntatore olografico per avere più precisione, oppure gettarci nella mischia facendo esplodere insettoni con il nostro shotgun.

Pilotare un X-Wing nella missione VR di Battlefront era fantastico, ma alla fine ci ritrovavamo pur sempre con un DualShock 4 in mano. Qui invece l'Aim Controller ci restituisce davvero l'impressione di avere un'arma tra le braccia e, credetemi, questa cosa fa tutta la differenza del mondo.
Grazie alla sua periferica, Farpoint trascende la propria natura di sparatutto blando e povero di idee, diventando un videogioco assolutamente soddisfacente, sia come esperienza interattiva che come shooter. Impulse Gear ha confezionato infatti un titolo che, pur non brillando per longevità (la campagna dura cinque ore scarse), offre un gameplay solido, con sparatorie intense e un livello di sfida piuttosto interessante (le missioni finali vi faranno sudare). Le armi a disposizione del giocatore sono tutte divertenti da usare e ben differenziate tra loro, in modo da garantire una discreta libertà di approccio negli scontri a fuoco. Una buona varietà interessa anche i nemici, presenti in diverse tipologie e dimensioni. Peccato solo che la loro aggressività, probabilmente per venire incontro ai limiti intrinseci della VR, non sia mai eccessiva. Non è un dramma, perché la difficoltà è bilanciata con sapienza, dunque ci troveremo spesso ad affrontare situazioni concitate in cui dovremo mettere sotto torchio la nostra abilità di pistoleri spaziali; solo non verremo mai minacciati da pattern d'attacco particolarmente complessi o da un'intelligenza artificiale incredibilmente evoluta.

Anche sul piano narrativo le cose funzionano abbastanza: immaginate un Interstellar che incontra le battaglie di Starship Troopers e avrete idea di cosa aspettarvi. Forse, dato che comunque si parla di un gioco ignorantone in cui non si fa altro che maciullare alieni, avrei gradito una storia che si prendesse meno sul serio, ma alla fine va benissimo anche così; la vicenda è ben raccontata e si lascia seguire con piacere, senza mai venire a noia.

Farpoint è un graditissimo esperimento che, basandosi su un concept di gameplay rodato, evidenzia la forza latente della realtà virtuale. È senza ombra di dubbio il titolo PlayStation VR più convincente sia dal punto di vista grafico che da quello del sistema di controllo. L'Aim Controller è infatti un'ottima periferica che, si spera, verrà sfruttata da molti altri titoli, magari anche più ambiziosi in termini di meccaniche.
Nel frattempo, comunque, abbiamo già un bello sparatutto che viene esaltato da questo giocattolone di plastica. Credetemi, guardandovi intorno imbracciando un'arma futuristica e posando gli occhi sulla vostra ombra proiettata sulla superficie di un pianeta alieno, la linearità di Farpoint passerà immediatamente in secondo piano. 

giovedì 8 giugno 2017

Tekken 7

Quella di Tekken è una saga capace di scatenare un effetto nostalgia devastante in qualsiasi giocatore che abbia superato la soglia dei trent'anni. I primi tre episodi, usciti inizialmente nelle sale giochi e poi convertiti su PlayStation, segnarono gli anni d'oro della console a 32 bit Sony, diventandone giochi simbolo insieme ai vari Final Fantasy VII, Metal Gear Solid e Ridge Racer.
PlayStation 2 fece il suo esordio annoverando Tekken Tag Tournament tra i titoli di lancio (ah, le discussioni sulle scalette), continuando poi con Tekken 4 e con l'ottimo Tekken 5, probabilmente il titolo della serie a cui ho giocato di più insieme a Tekken 3.
Fu poi la volta di PSP, che ospitò una sorprendente conversione di Tekken 5 Dark Resurrection. Quest'ultimo accompagnò anche i vagiti di PlayStation 3, diventando uno dei primi titoli disponibili su PlayStation Store. Fu proprio sulla terza home console Sony (e per la prima volta su console Microsoft) che la saga di Bandai Namco subì una battuta d'arresto, con un sesto episodio valido ma indubbiamente meno esaltante dei suoi predecessori. Un sesto episodio che, per altro, dovette vedersela con la concorrenza agguerrita di Street Fighter IV. Il ritorno in auge dei beat 'em up a incontri, tuttavia, favorì la nascita di Tekken Tag Tournament 2 e dell'esperimento free-to-play Tekken Revolution.

Ad ogni modo, Tekken è sempre stato un picchiaduro piuttosto amato (almeno da me) e capace di proporre un sistema di combattimento divertente, solido e accessibile, calandolo in un immaginario sopra le righe in cui delle idol combattono contro grizzly e cyborg ninja prendono a calci imprenditori giapponesi posseduti da demoni che sparano raggi laser. Non che solitamente i giochi di menare offrano storie più sobrie, intendiamoci, ma è indubbio che il livello di trash toccato da Tekken sia difficile da eguagliare.

Due anni dopo il suo esordio nelle sale giochi nipponiche (probabilmente qualche cabinato si può trovare anche fuori dal Giappone, ma non ci metterei la mano sul fuoco), Tekken 7 arriva su PS4, Xbox One e PC con il suo gameplay collaudato, le sue novità e le sue faide famigliari che sembrano uscite da un bizzarro incrocio tra Occhi del cuore e un film con Van Damme.
Il settimo capitolo di Tekken si presenta benino, con un motore grafico (l'Unreal Engine 4) che garantisce un buon dettaglio grafico sia nei fondali che nei personaggi. Siamo comunque lontani dall'eccellenza, se non altro perché l'immagine, almeno su PS4, risulta sempre un po' sporcata da decine di effetti grafici, esplosioni e zoomate a caso che appesantiscono il quadro visivo nel suo complesso.

Al di là di questo, comunque, Tekken 7 si lascia guardare e, soprattutto, giocare con piacere.
Il roster è molto ampio e le new entry sono tutte interessanti sia in fatto di look che di mosse. L'unico lottatore che per i miei gusti stona è Akuma, personaggio di Street Fighter che non mi sembra si trovi particolarmente a suo agio con le meccaniche di Tekken e che, nello Story Mode, si rivela un avversario fin troppo ostico e overpowered.
L'aggiunta più importante del combat system riguarda la gestione del Rage Mode. Introdotto in Tekken 6 (ma già visto con un diverso nome nel primo Tekken Tag), questo stato potenziava gli attacchi del personaggio quando la barra d'energia stava per esaurirsi. In Tekken 7 ci permetterà di effettuare una Rage Art o una Rage Drive. La prima non è altro che l'equivalente tekkeniana delle Ultra di Street Fighter. La Rage Drive invece è sostanzialmente una super combo. Entrambe sono tecniche particolarmente potenti che, se usate al momento giusto, possono ribaltare le sorti di un incontro che volge a nostro sfavore.

Tekken 7, come tutti i picchiaduro, dà il meglio di sé giocato tra amici, stravaccati sul divano in una serata estiva mentre sorseggiamo una birra fresca. C'è comunque qualcosa da fare anche per il giocatore solitario.
Sono presenti una modalità arcade (in verità piuttosto breve e scialba), una Battaglia Tesoro in cui dovremo combattere avversari sempre più forti ottenendo crediti e oggetti da usare nella (corposissima) personalizzazione del personaggio e, soprattutto, lo story mode "La saga dei Mishima".
Ora... non so se esistano persone seriamente interessate alla soap opera folle che è diventata la trama di Tekken nel corso degli anni, ma comunque sappiate che questo settimo episodio vi mostrerà finalmente l'epilogo della vicenda di Heihachi e Kazuya. Epilogo che rimarrà tale fino a quando non uscirà Tekken 8 (?).
Vi sono poi alcuni brevi capitoli dedicati ai numerosi personaggi secondari, ma siamo veramente al minimo sindacale (testo introduttivo, scontro e fmv).
In estrema sintesi, il single player di Tekken 7 fa il suo dovere ma non brilla. Ci passerete qualche ora piacevole e probabilmente spenderete molto tempo nella Battaglia Tesoro per sbloccare roba e prendere confidenza con le mosse del vostro personaggio preferito, ma se cercate un buon pestaduro da spolpare in solitudine, fareste meglio ad orientarvi su altro (mi dicono che Injustice 2 da questo punto di vista sia molto convincente, giusto per darvi una dritta).

La carenza di contenuti single player non sarebbe un grosso problema, visto che viviamo nel ventunesimo secolo ed esiste il multiplayer online. Il guaio è che, nel momento in cui scrivo (8 giugno 2017), il netcode della versione PS4 di Tekken 7 è imbarazzante. Non so come sia la situazione su One e PC, ma personalmente in una settimana sono riuscito a giocare solo cinque volte, tentando di trovare qualche partita più o meno ogni giorno e incappando in un'infinità di errori di connessione.
Si spera in una patch che risolva il problema e renda il matchmaking vivibile, anche perché mi manca solo il trofeo dei dieci incontri online per prendere il Platino. Non che ci tenga particolarmente, però che fastidio, no?

EDIT: neanche il tempo di lamentarmi che è uscita la patch. Ora il matchmaking sembrerebbe a posto. Trofeo di platino sbloccato, per la cronaca.