mercoledì 22 giugno 2011

Zelda Ocarina of Time: come innamorarsi dei videogiochi

Se oggi amo così tanto i videogiochi, probabilmente è proprio grazie a Zelda Ocarina of Time.
Il che è abbastanza ironico, considerando che, tra una cosa e l’altra, Ocarina non l’ho mai portato a termine.
E’ tuttavia innegabile che il primo Zelda in tre dimensioni abbia giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione della mia passione videoludica.

Uscito agli albori della mia adolescenza, Ocarina è stato il titolo che mi ha fatto capire davvero quanto mi piacessero i giochini elettronici.
Chiariamo, prima di giocare a Zelda ne avevo già provati a bizzeffe di giochi appassionanti: Metal Gear Solid, Final Fantasy VII, Mario 64, i Resident Evil e compagnia bella.
Ma fu solo con Ocarina of Time che arrivai definitivamente a considerare i videogiochi non più come un semplice passatempo, ma come una vera e propria passione.
Zelda fu in pratica lo step finale verso la definitiva consapevolezza di essere un nerd videogheimer incallito.
Sì, insomma… fu dopo aver visto Zelda che capii che i videogiochi non sarebbero stati una roba che avrei mollato senza remore semplicemente scoprendo la figa crescendo.

Non serve ricordare che Zelda Ocarina of Time fu un capolavoro assoluto, un gioco unico e inarrivabile, un titolo che, ai suoi tempi, non conosceva rivali.
Anzi, li guardava dall’alto in basso i rivali, sbeffeggiandoli in maniera plateale.
Prendete Portal 2, Red Dead Redemption, Bioshock, altri quattro o cinque gioconi della generazione corrente e frullateli assieme, ottenendo una sorta di “super-gioco”. Probabilmente, così facendo, potrete farvi un’idea di quello che rappresentò Ocarina alla fine degli anni ’90.
Una roba da strapparsi i capelli per quanto era bella, innovativa e pazzesca.
Sul serio, se non c’eravate non potete capire il delirio collettivo che generò l’uscita di questo gioco.

Il mio impatto con Ocarina (che tra l’altro fu anche il mio primo Zelda in assoluto) fu qualcosa di mai provato prima.
Rimasi sconvolto da questo mondo fantasy che pareva stendersi immenso e sconfinato dinanzi ai miei occhi.
I primissimi passi nella piana di Hyrule li ricordo ancora benissimo: per un attimo mi tornarono in mente i primi momenti di Mario 64, in cui me ne andavo in giro cazzeggiando per il giardino del castello di Peach, sperimentando una sensazione di libertà mai provata prima in un videogioco.
Pensai anche a quando, in Final Fantasy VII, uscii finalmente dalla claustrofobica Midgar, ritrovandomi nella World Map.
Poi realizzai che qui in Zelda non c’era solo un giardino, non c’era solo una mappa stilizzata.
C’era un intero, enorme mondo in scala 1:1, pieno di segreti e di cose da fare, che potevo esplorare in completa libertà.
Il mio Nintendo 64 non era più una semplice console. Era diventato una sorta di portale dimensionale che mi prendeva di peso e mi schiaffava nei panni di un ragazzino vestito di verde destinato a salvare il suo mondo da un’oscura e terribile minaccia.

La cosa più bella di Ocarina of Time era proprio questo senso di immersione, questa sensazione di essere lì, di stare “vivendo” il gioco.
Hyrule sembrava un mondo vero, fantastico ma allo stesso tempo coerente. I personaggi che Link incrociava parevano vivi, ognuno aveva la sua storia e ogni luogo che si visitava lasciava a bocca spalancata (e molto all’epoca veniva fatto non solo dalla direzione artistica, ma anche dalla grafica che si poteva ottenere grazie alla potenza bruta del Nintendone).
Tutto, ma proprio tutto, in Ocarina of Time, era qualcosa di memorabile.
Mai niente in un videogioco ha più saputo regalarmi le stesse emozioni che mi hanno dato l’arrampicata sulla Death Mountain, la pioggia battente nel cimitero del Kakariko Village, la sacralità del Temple of Time, le cavalcate in sella a Epona, i tuffi dalla cascata del villaggio degli Zora e le nuotate nel lago Hylia.
Ogni location e ogni situazione aveva in sé qualcosa di epico e di indimenticabile, “giocare a Zelda” era qualcosa di maestoso.
Ci si sentiva davvero degli eroi mentre ogni nostra azione era scandita dalla meravigliosa colonna sonora composta da Koji Kondo.
E tutto ciò senza neanche parlare dei dungeon, che facevano lavorare il cervello con dei puzzle geniali, garantendo sempre un livello di sfida eccellente.

Ocarina of Time
conteneva dentro di sè tutto quello che oggi cerco in un buon videogioco.
Quel senso di immersione totale, quella felicità particolare che si prova esplorando mondi fantastici e al di là della nostra immaginazione. Mondi che si possono vedere, appunto, solo in un videogioco.
Ocarina of Time avrà pure i suoi anni sul groppone, per certi aspetti sarà pure invecchiato, ok, ma a livello personale lo considererò sempre uno dei più grandi videogiochi di sempre.
E su 3DS riuscirò pure a finirlo. Sarebbe anche ora del resto.

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