mercoledì 26 giugno 2013

The Last of Us

La grande peculiarità dei videogiochi, a parere di chi scrive, è quella di far vivere esperienze interattive.
Banale, lo so, ma in fondo incontestabile.
Quando noi leggiamo un romanzo ci limitiamo ad immaginare la storia narrata dall’autore, mentre quando guardiamo un film non possiamo far altro che osservare ciò che accade sullo schermo. Stesso dicasi per i fumetti, le serie televisive e tutti gli altri media di cui fruiamo rimanendo sostanzialmente passivi. Solo i videogiochi, pur con tutti i loro limiti e compromessi, permettono un livello di interazione che vada oltre la semplice comprensione della trama.
In un videogioco noi non ci riduciamo a guardare il protagonista combattere, soffrire, avere paura e affezionarsi a qualcuno, in un videogioco noi “siamo” il protagonista, di conseguenza abbiamo teoricamente la possibilità di vivere in prima persona tutte le sue emozioni, piacevoli o dolorose che siano.
Purtroppo molti titoli sembrano non curarsi di questo immane potenziale del medium videoludico. Troppo spesso ci troviamo a giocare schifezze che non lasciano niente, tanto è vero che sono il primo ad affermare che i videogiochi abbiano ancora molta strada da fare per raggiungere la potenza espressiva già toccata da cinema e letteratura.
Devo ancora trovare il corrispettivo videoludico di 22/11/’63 di Stephen King, tanto per citare un libro letto di recente che riesce ad essere al tempo stesso una piacevole lettura di intrattenimento e un grandissimo romanzo storico, capace di tratteggiare con maestria la realtà dell’America anni Cinquanta e Sessanta. Forse alcuni titoli Rockstar riescono a fare qualcosa del genere, ma direi che i Red Dead Redemption del caso sono più che altro delle eccezioni in quello che è il panorama videoludico attuale.
È anche per questo motivo che è difficile non entusiasmarsi di fronte a The Last of Us, un gioco che riesce perfettamente a esprimere il potenziale del medium a cui appartiene. Un gioco che, oltre a coinvolgerti con un gameplay di assoluto pregio, giunge addirittura a colpirti, raccontandoti (anzi, facendoti vivere) una storia che ti entra nel cuore.

The Last of Us è frutto dell’impegno dei Naughty Dog, sviluppatori californiani che hanno sempre contribuito a segnare in maniera indelebile la storia di tutte le console targate Sony.
Crash Bandicoot su PSOne, Jak & Daxter su PS2 e, in tempi recenti, la saga di Uncharted su PS3.
È proprio in Uncharted che The Last of Us pone le sue radici, anche se in realtà i due titoli hanno molto meno in comune di quanto potrebbe sembrare a una prima occhiata distratta. Di fatto direi che le somiglianze si riducono alla visuale in terza persona. E non sto esagerando.
Entrambi, tuttavia, sono giochi che puntano moltissimo sulla componente narrativa.
Uncharted è il gioco d’avventura story driven per eccellenza, di fatto è il corrispettivo videoludico di Indiana Jones.
The Last of Us, invece, lascia da parte le ricerche di antichi tesori e prova a raccontare una storia di tutt’altro genere. Una storia cupa, priva di ogni spensieratezza, che stordisce e che entra nelle viscere.
Amici lettori, con The Last of Us va in scena il tramonto della razza umana!
È un mondo post apocalittico, quello di The Last of Us.
Una misteriosa pandemia ha colpito il genere umano, trasformando le persone infettate in mostruose creature simili a zombi: esseri divorati da uno strano fungo che, col tempo, devasta i loro corpi fino a sfigurarli completamente, rendendoli degli aberranti involucri ciechi che cacciano le prede affidandosi unicamente a un udito super sviluppato simile a un sonar.
Sono passati vent’anni dalla repentina diffusione di questo terrificante morbo e l’umanità sta morendo.
I pochi superstiti vivacchiano di stenti in presidi fortificati, tenuti sotto controllo da una forza militare dispotica. Chi vive all’esterno di questi avamposti è ridotto ancora peggio ed è costretto a lottare per la propria sopravvivenza, aggrappandosi alla vita con le unghie e con i denti.
Ma soprattutto, gli esseri umani hanno perso la propria umanità.
Chi, prima dell’apocalisse, era un tranquillo padre di famiglia che non avrebbe mai fatto del male a una mosca, per sopravvivere in questo mondo spietato e violento ha dovuto abbandonare qualsiasi vincolo morale, trovandosi costretto a fare cose di cui mai si sarebbe ritenuto capace. Uccidi o rimani ucciso, ruba o muori di fame. Gli egoisti sopravvivono, tutti gli altri soccombono.
Nel mondo di The Last of Us il fine ultimo è la propria sopravvivenza e quella delle poche persone care che ci sono rimaste. Se ci sono rimaste, chiaro.

È questa la dura realtà in cui si trova Joel, il protagonista del gioco. Joel è un cinquantenne che ha visto la fine del mondo (e della speranza) con i propri occhi e che, suo malgrado, è stato obbligato ad adattarsi a questa nuova vita.
Non è un eroe, non è nemmeno una brava persona, in effetti. È semplicemente un sopravvissuto, come è lui stesso a definirsi in una delle prime sequenze d’intermezzo.
Il suo compito sarà quello di scortare attraverso ciò che resta degli Stati Uniti la giovane Ellie, una ragazza di quattordici anni con cui, dopo un po’ di titubanza iniziale, svilupperà un rapporto profondo destinato a farvi venire gli occhi lucidi in più di un’occasione.
È proprio la caratterizzazione di Joel ed Ellie la cosa più convincente del titolo Naughty Dog.
Lui ormai stanco e rassegnato, consapevole dell’incapacità del genere umano di risollevarsi da questo abisso in cui sta precipitando e memore di un mondo che non esiste più. Un mondo che non sembra essere mai esistito, che ormai perdura soltanto nei sogni e in pochi, dolorosi, ricordi.
Ellie invece è giovane, nata dopo l’apocalisse che ha distrutto ogni cosa, totalmente ignara di ciò che esisteva prima della fine della civiltà. È inconsapevole delle cose che non ha potuto vedere con i propri occhi e spesso incredula di fronte alle frammentarie informazioni riguardanti il mondo che l’ha preceduta.
“Davvero una volta le persone sceglievano di non mangiare per una questione estetica? Davvero la massima preoccupazione delle ragazze come me era scegliere quali scarpe indossare per andare a scuola?”
Ma Ellie non è un personaggio cupo e triste, è anzi un’adolescente che ha vissuto tutta la sua breve esistenza in una realtà diversa dalla nostra e, come tutte le adolescenti, ha ancora la forza di ridere, di scherzare, di avere un minimo di speranza. Ellie è la dimostrazione vivente che, anche quando tutto sembra finito, quando tutto sembra marcio e corrotto, può esserci ancora qualcosa di buono.
The Last of Us racconta la storia di questo strano duo. Un uomo e una ragazza diversissimi fra loro che si trovano ad affrontare un viaggio insieme, sostenendosi e aiutandosi a vicenda.
Il loro rapporto, nelle battute iniziali freddo e distaccato, si delinea nelle cutscene e nelle fasi giocate.
Queste ultime funzionano meglio rispetto ad Uncharted, dove i toni solari della narrazione stridevano con il fatto che un avventuriero bonaccione come Drake fosse costretto ad ammazzare centinaia di poveri cristi per procedere nell'avventura.
In The Last of Us, invece, le fasi di gameplay sono molto più coerenti.
Anche qui Joel si trova nella situazione di dover uccidere un sacco di gente, ma in questo contesto la cosa risulta molto meno stonata.
I combattimenti, inoltre, con la loro violenza e la loro notevole fisicità, contribuiscono ulteriormente a delineare il mondo di gioco. Un mondo in cui è necessario lottare per la propria vita, sia contro i mostruosi infetti che contro gli altri sopravvissuti che cercano di farci la pelle, e in cui è importante capire quando conviene adottare un basso profilo (prediligendo un approccio di gioco stealth) e quando invece ci si può permettere di affrontare gli avversari di petto, facendo affidamento su tutte le risorse a nostra disposizione.
Il gioco funziona a meraviglia e riesce sempre a trasmettere un forte senso di tensione e di precarietà, tanto è vero che mi sono trovato a morire abbastanza spesso anche a difficoltà normal.

Tra una sparatoria, un combattimento a mani nude e un breve momento di calma apparente, il viaggio di Ellie e Joel continua.
I due parlano del più e del meno, discutono, litigano, interagiscono con le poche persone amichevoli che incontrano, gioiscono nel rivedere la luce del sole dopo essere finalmente usciti da un passaggio sotterraneo.
Non perdono nemmeno occasione di commentare ciò che vedono girando per le rovine delle città, per i boschi e per gli avamposti abbandonati. In questo gioco le ambientazioni, oltre a trasudare atmosfera da ogni poligono, hanno una loro storia da raccontare. Gli scenari di The Last of Us, esattamente come quelli di altri capolavori videoludici rispondenti al nome di Half-Life 2 e Portal 2, sono ricchi di dettagli che fanno intuire ciò che è accaduto a chi è passato di lì prima di noi e, probabilmente, non ce l’ha fatta.
The Last of Us, come il recente The Walking Dead di Telltale, affronta inoltre tematiche che raramente vengono toccate in un videogioco, dispensando mazzate emotive con una naturalezza che lascia di stucco.
La storia, pur lasciandosi andare a qualche tòpos del genere post apocalittico, si sviluppa in maniera ritmata e tutto sommato abbastanza imprevedibile, turbando ed emozionando il giocatore con momenti di grande impatto, resi spesso in modo magnifico grazie anche all’impressionante recitazione degli attori virtuali coinvolti.
È interessante notare come, per una volta, i creatori di Uncharted non abbiano puntato ad impressionare utilizzando la spettacolarità fine a se stessa, evitando di infarcire il gioco di passaggi roboanti eccessivamente sopra le righe.
The Last of Us, a dispetto della sua violenza intrinseca, è quasi un gioco intimista, a tratti poetico, che preferisce coinvolgere sfruttando i dialoghi, la regia e l’atmosfera piuttosto che le sequenze fracassone. È un gioco trascinante, che incolla al televisore e mette in ansia per la sorte dei suoi protagonisti. La vicenda raccontata da Naughty Dog è malinconica, amara, non ci prova nemmeno ad addolcire i toni. Joel ed Ellie, nel corso del loro lungo viaggio, si troveranno più di una volta a fare i conti con la morte, lo sconforto e la disperazione più assoluta.

Che altro dire?
Devo davvero mettermi a parlare del lato tecnico di questo titolo?
Perché potrei star qui per ore a triturarvi le gonadi facendo discorsi chilometrici sulla bontà grafica di The Last of Us, su quanto faccia spavento, su quanto sia dettagliato, su quanto sia incredibile che un tale spettacolo giri su una semplice PS3. Ma non mi sembra il caso, del resto della bellezza visiva di questo gioco ne hanno già parlato in tanti e dai creatori di Uncharted non ci si può aspettare meno che l’eccellenza.
Paradossalmente ci sarebbe molto da dire anche sui difetti.
Il titolo Naughty Dog non è infatti un titolo perfetto in ogni sua parte. L’IA dei nemici poteva forse essere più evoluta, dato che i nostri avversari hanno questa fastidiosa tendenza a ignorare totalmente ciò che fanno gli NPC che ci accompagnano (Ellie inclusa). In certi frangenti il gameplay potrebbe poi risultare un po’ ripetitivo. Inoltre, se i combattimenti sono sempre tesi e assai riusciti, lo stesso non si può dire dei (pochi) enigmi ambientali proposti.
In ogni caso, per quanto mi riguarda, trovo che The Last of Us sia un gioco che vada premiato per i suoi meriti, meriti che contribuiscono a creare un’esperienza videoludica di assoluto valore, che non viene minimamente intaccata da qualche perdonabilissimo difettuccio del tutto irrilevante nell’economia globale del gioco.
The Last of Us è in definitiva un titolo capace di farsi amare. Un’opera mastodontica, dalla bellezza indiscutibile, che merita di essere vissuta dall’incredibile incipit fino allo sbalorditivo finale.
Non c’è altro da aggiungere, anche perché, così a caldo, mi risulta difficile stabilire con certezza se l’ultima fatica di Naughty Dog passerà alla storia come capolavoro o semplicemente come un ottimo gioco. Ma alla fine, ora come ora, ce ne importa davvero qualcosa?

Ho iniziato e finito The Last of Us nel giro di un week-end, il che dovrebbe essere abbastanza indicativo di quanto mi sia piaciuto, considerando che ultimamente sono in preda a un tale scazzo videoludico che anche i titoli di sei ore scarse arrivano a durarmi settimane.
The Last of Us, per la cronaca, di ore ne dura circa una quindicina. Se non si fosse capito l’ho adorato, direi che era dai tempi di Portal 2 che un gioco non mi colpiva in questo modo.
Due parole sul finale, senza fare alcuno spoiler: è bellissimo. Devastante, reso splendidamente e per nulla scontato. Un gioco come The Last of Us non poteva avere un epilogo più appropriato e significativo di questo.
Se ci ripenso mi vengono ancora i brividi.
Ah, spero seriamente che NON ci sia un sequel. Non ne sento assolutamente il bisogno.

1 commento:

Wis ha detto...

Pollicioni in su.