Dopo La mafia uccide solo d'estate, Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif) torna a raccontare l'influenza nefasta della criminalità organizzata sulla Sicilia. Questa volta lo fa partendo da lontano, proponendoci una sorta di prequel del suo lavoro precedente, che si svolgeva tra gli anni settanta e i novanta.
In guerra per amore è infatti un film in costume ambientato nel 1943, durante lo sbarco delle truppe alleate che diede il via alla campagna d'Italia, in quella che è passata alla storia come Operazione Husky.
Un film di guerra, quindi? Be', non proprio.
Come il titolo suggerisce in maniera abbastanza chiara, le premesse sono quelle di una commedia romantica: Arturo Giammarresi è un italoamericano innamorato di una ragazza di nome Flora. L'amore è contraccambiato, peccato che la donna sia già promessa sposa al figlio di un boss della malavita. Per uscire dall'impasse, Arturo decide quindi di arruolarsi e di andare in Sicilia in cerca del padre dell'amata, così da potergli chiedere direttamente il permesso di sposarla.
A questo pretesto narrativo, che in effetti dà luogo ad un primo tempo forse eccessivamente "stupidino", fanno da sfondo alcuni degli ambigui eventi che segnarono la fase iniziale del fronte italiano: pare, infatti, che per riuscire a penetrare più facilmente nell'entroterra siciliano, gli americani chiesero la consulenza e il supporto di alcuni esponenti della mafia locale, che ovviamente sapevano muoversi sul territorio meglio di un qualsiasi generale statunitense.
Ora: non è semplicissimo, in realtà, stabilire quanto fu determinante e profondo questo contributo mafioso allo sforzo bellico; o quanto, a conti fatti, Cosa Nostra trasse beneficio da questa collaborazione. Tra gli storici c'è ancora un dibattito piuttosto acceso in cui non voglio addentrarmi.
È comunque importante specificare come questo film tratti un argomento complesso e delicato, che Pif riesce tuttavia ad affrontare lucidamente, rendendo piuttosto bene l'idea di un'isola tra l'incudine e il martello: da un lato l'orrore del nazifascismo, dall'altro la spada di Damocle rappresentata da una criminalità assetata di potere e pronta a tutto pur di ottenerlo. Questi fatti sono visti attraverso gli occhi del protagonista; inizialmente concentrato solo sulla sua quest amorosa, Arturo prende progressivamente coscienza di ciò che sta accadendo intorno a lui, rendendosi conto che gli americani, intenzionati a vincere la guerra con ogni mezzo necessario, stanno prendendo sottogamba il pericolo costituito dalla mafia.
Nel secondo tempo In guerra per amore diventa un film molto più incisivo, pur non perdendo mai quella patina un po' trasognata che contraddistingue lo stile di Pif (e che può non piacere, per carità).
Si denuncia la follia di un regime criminale che ha dilaniato un paese, anestetizzandolo a suon di propaganda e retorica patriottica, si sottolineano i contatti della rete mafiosa con un noto partito politico nascente e si evidenzia il totale disinteresse degli americani, dapprima preoccupati solo della propria vittoria militare e, in un secondo momento, ossessionati dalla necessità di contenere la "minaccia comunista".
Il tutto, come ho accennato, viene raccontato con un taglio leggero, magari lontano dalla realistica brutalità che ci si aspetterebbe da un film su questi argomenti (stiamo sempre parlando di seconda guerra mondiale e mafia, voglio dire), ma che comunque riesce a mantenere elevato il trasporto emotivo. Riuscitissimo, ad esempio, il modo in cui viene sviluppato il rapporto d'amicizia tra il personaggio di Arturo e il luogotenente interpretato da Andrea Di Stefano.
Pif dimostra dunque di essere un narratore sensibile che non solo ha una sincera voglia di scavare a fondo su temi spinosi, ma possiede anche l'abilità necessaria per farlo, confermandosi un regista versatile e in crescita. La speranza è che la sua maturazione artistica continui senza deragliare.
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